Nell’immaginario comune l’agriturismo è quel luogo in cui poter mangiare piatti semplici, di casa, della tradizione, preparati con prodotti dell’azienda agricola in cui lo stesso si inserisce. Spesso preparati dall’agricoltore in persona o dalla sua famiglia, con prezzi spesso medio-bassi e alla portata di chiunque. Insomma, si associa l’idea della proposta agrituristica a una cucina semplice, generosa e low cost. Sono sempre più le aziende agricole dedite all’ospitalità e alla cucina che cercano invece di dare un nuovo volto a questo luogo comune, proponendo menu con piatti di ricerca, propri di contesti quali l’alta ristorazione, andando creare una proposta assolutamente locale, con materie prime di grande valore culturale (provenienti da aziende agricole limitrofe), trasformate con conoscenza e tecnica, limitando al minimo gli sprechi. Un’idea di cucina moderna, che abbandona le materie prime preziose al fine di valorizzare i prodotti agricoli, anche quelli tra i meno nobili.
Una cosa bellissima.
Questo non deve però oltrepassare i limiti che la legge impone.
L’attività agrituristica è normata da regolamenti regionali, che ne determinano le strette caratteristiche che lo stesso deve avere per poter essere definita attività agrituristica e, di conseguenza, poter godere di speciali agevolazioni fiscali e non solo rispetto alle tradizionali attività dedicate alla ristorazione.
Il limite è però labile ed effimero ed è anche vero che forse a qualcuno la cosa sta sfuggendo un po’ di mano. Ma questa è un’altra storia. Continuo a pensare che sia possibile coniugare una cucina di ricerca, con prodotti del territorio e zero sprechi, rendendola arrivabile a tutti: l’agriturismo come struttura che crea valore per il territorio in cui si inserisce, crea cultura, regalando una lettura in chiave diversa di quello che può essere l’utilizzo di materie prime agricole.
All’Agriturismo Larice di Clusone (Bg) i motori son caldi: da alcuni mesi infatti la famiglia Visinoni ha affidato la cucina a una brigata giovane ed entusiasta guidata dallo chef clusonese David Rottigni che, dopo alcune esperienze di pregio in alcune delle cucine più rinomate della Penisola, come il ristorante di Carlo Cracco a Portofino o il celebre St. Hubertus, ha deciso di tornare a casa.
Una fine collaborazione con l’azienda agricola naturale La Sigola di Cerete (Bg) garantisce le verdure e le erbe per tutto il corso dell’anno, secondo stagione. Le carni di manzo, suine (per la produzione dei salumi) e quelle ovine sono allevate direttamente nell’azienda agricola, così come la produzione di latte di capra e la sua trasformazione in formaggio. Le altre carni sono acquistate da allevamenti virtuosi limitrofi, come i piccioni di Roberto Breda di Albino (Bg). In azienda vi sono anche alcuni cavalli utilizzati per l’ippoterapia e l’ippoturismo. Poi ci sono i frutti spontanei della terra, come funghi e erbe, che vengono raccolte, trasformate e conservate per il loro successivo utilizzo. I pesci alpini, come i salmerini o le trote (sia fario che salmonate) vengono acquistati da due aziende specializzate in acquacoltura: ogni loro parte viene utilizzata, interiora e uova comprese. Lo stesso avviene per gli animali allevati in azienda e gli ortaggi, lavorati quotidianamente dal fresco dalla brigata di cucina.
Infine, un elemento che caratterizza la proposta pensata da David con il completo sostegno della famiglia Visinoni riguarda l’utilizzo della brace, grande passione del papà di Valentina ed Elena Visinoni, che tutt’oggi cuoce belle costate, fiorentine e grigliate, per gli amanti del genere. La brace si ritrova anche in molti altri piatti, con cotture dirette e affumicature a caldo di verdure, carni e pesci.
Un menu intrigante, che non abbandona casoncelli (preparati egregiamente), brasato e taglieri di salumi e formaggi di capra dell’azienda, ma che strizza l’occhio a preparazioni più complesse, per regalare grande soddisfazione gastronomica anche ai palati che cercano qualcosa di diverso.
Ecco che uno dei piatti simbolo della proposta, in carta fin dall’apertura dell’agriturismo nel 2016, si fa 2.0. Nasce la nuova versione della famosa zingara, che vede le fini fettine di carne ospitare al loro interno la pancetta e un trito di lardo e erbe. I piccoli involtini vengono cotti alla brace e glassati con una riduzione di soia e vino Moscato (secco e passito). Poi serviti alternati con porro sempre alla brace e la sua maionese.
Tra i piatti della stagione, anche la brocòla, il cavolfiore bianco viene cotto in forno e poi alla brace, con una glassa e un rub ottenuto dalla salsa BBQ (prodotta sempre in cucina). Vengono serviti con la salsa BBQ alle sarde di lago, aglio nero e olio al porro, prodotto con le sue parti verdi prima affumicate e poi utilizzate per lasciare l’aroma.
Il risotto all’abete rosso è assolutamente da assaggiare, servito con il kefir prodotto e conservato sempre in azienda e un carpaccio di trota salmonata.
Curioso è anche il ramen, la cui parte liquida è il risultato dell’unione di diversi brodi (a base di manzo a cui viene aggiunto del brodo di pesce o di volatile, in base alla disponibilità). Poi si aggiungono i noodles, la pancetta laccata, l’uovo marinato e i funghi locali: raccolti in autunno ed essiccati.
Assolutamente di impatto è il biancostato. Marinato e poi cotto in forno a lungo, poi passato sulla brace con metodo indiretto.
Zero scarti: un’idea di cucina che cerca di valorizzare ogni prodotto della terra con la preparazione di salse, brodi, patè e molto altro ancora.
Una cucina agricola, sostenibile, che valorizza l’autoproduzione.
Da provare, la prima volta, il menu degustazione di 5 portate a 48 euro.
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi
In partnership con Agriturismo Larice di Clusone (Bg).