Studio, ricerca e scambio culturale sono elementi spesso fondamentali per mettere in luce elementi che, altrimenti, potrebbero passare inosservati o addirittura scomparire.
È il caso di questi ravioli bergamaschi, la cui sparizione dalle cucine (e purtroppo dalle memorie!) era già un fatto assodato.
Si tratta dei Bertù di San Lorenzo, che sono grossi ravioli prodotti tradizionalmente proprio a San Lorenzo, una piccola frazione del comune di Rovetta, ubicato su un altipiano in media Valle Seriana.
Visto il grande e assodato patrimonio di paste ripiene bergamasche, nessuno si aspettava novità in questo campo.
Qualche anno fa però, arriva una chiamata alla locale associazione di promozione turistica; era uno chef di Atlanta, Mike Patrick. Voleva informazioni riguardo una pasta fresca ripiena di cui aveva letto nell’Encyclopedia of pasta di Oretta Zanini De Vita (University Press California – 2009).
Erano i Bertù ed ecco che subito si accende l’interesse nei confronti di questa preparazione; iniziano quindi lunghe ricerche bibliografiche e chiacchierate con gli anziani locali che, con non poche fatiche e sforzi di memoria, confermano l’esistenza di questa pasta: è così che i Bertù rinascono, in maniera del tutto inusuale e con l’intenzione di rimanere patrimonio della memoria collettiva ancora per molto tempo.
Ma la vera fortuna di questa produzione è l’aver incontrato la curiosità e l’interesse dello chef Matteo Teli che si è dedicato al progetto di recupero della ricetta e della loro messa in produzione.

“Il nome deriva dal fatto – racconta Matteo Teli – che la loro grande dimensione aveva indotto i pastori locali a chiamarli Bertù, probabilmente con derivazione dal termine berta, cioè ‘orecchio’ in dialetto gaì, conosciuto esclusivamente dai pastori. Di conseguenza si suppone che il termine Bertù sia riconducibile al significato di ‘orecchio grande’, simile a quello dell’asino”.
Dopo numerose prove, tentativi e assaggi, ecco che la ricetta viene perfezionata e ormai i Bertù di San Lorenzo vengono prodotti da Matteo Teli in persona nel suo piccolo laboratorio artigianale.
“Per la sfoglia – dice Matteo – viene utilizzata una farina integrale sporcata con un poco di crusca. Si utilizzano poche uova, come vuole la tradizione gastronomica rurale di queste zone. Il ripieno invece ha come ingrediente principale il cotechino sgrassato unito poi al formaggio da grattugia, al pane grattato, al prezzemolo, ad un poco di cipolla tritata, sale e un pizzico di noce moscata”.
Ma per cucinarli?
Basta cuocerli in abbondante acqua salata, per poi condirli con abbondante pancetta, burro fuso e salvia.
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi