Un piccolo borghetto che sorge sulla riva bresciana del Sebino: un vero e proprio scrigno gastronomico, culla storica dell’attività di pesca lacustre della zona.
Si tratta di un piccolo paesino, frazione del vicino comune di Iseo, che si affaccia sul bellissimo lago omonimo; un luogo facilmente raggiungibile dalla vicina Franciacorta e dalle città di Bergamo e Brescia. E’ Clusane di Iseo (Bs), un borgo storico composto da diverse abitazioni che ha sempre vissuto di pesca e agricoltura e, negli ultimi decenni, l’attività principale è diventata invece quella turistica. Probabilmente è uno dei centri più antichi della zona e non stupisce che proprio qui abbia visto la luce nel 1953 la Cooperativa dei pescatori del Lago d’Iseo, ancora in attività. All’epoca contava all’incirca un centinaio di pescatori, che traevano da vivere con l’attività di pesca nell’allora più generoso Sebino.



“Si pescavano tantissime tinche e carpe, ma anche tanti gamberi d’acqua dolce – racconta Luciano, detto “Ciano”, uno dei pescatori ancora in attività – mentre oggi le tinche non ci sono più, ma peschiamo tanto coregone e persico; ci siamo anche specializzati nella pesca al siluro, ma qui nessuno lo vuole mangiare”. Il siluro è una specie che si è diffusa in tutte le acque dolci del nord Italia e che ha letteralmente invaso e cambiato gli equilibri di queste zone. La sua pesca è un’attività assolutamente importante per la sopravvivenza delle altre specie e le sue carni sono ottime da mangiare: si tratta di carni bianchissime e magre che, in esemplari non eccessivamente grandi, sono buonissime. Non solo, “la presenza di pesce nel lago è anche minata dalla massiccia presenza di cormorani, svassi e tuffetti che prima erano solo di passaggio, ma negli ultimi anni vivono qui tutto l’anno nutrendosi di pesce” racconta ancora Luciano. Luciano Barbieri è uno degli attuali 6 soci della Cooperativa, di cui 5 che svolgono l’attività di pesca. Oltre a Luciano, c’è il padre Carlo (presidente della cooperativa), Davide Bosio, Pietro e Angelo Moretti. Due di loro sono ultraottantenni che ancora escono a pesca. Un lavoro duro, che obbliga a fatiche importanti. La Cooperativa ha un piccolo negozietto nel cuore del paese aperto tutti i giorni dalle 8 alle 12 e dalle 14.30 alle 17.30, la domenica effettua l’apertura solo alla mattina. Da maggio a ottobre è il periodo migliore in cui trovare pesce autoctono e il bancone bello ricco; nel periodo invernale invernale si trovano le sarde, ma anche il luccio o il persico, mentre fino a dicembre anche il coregone. Un luogo autentico, dove recarsi per sostenere la piccola attività di pesca.






Sono invece numerosi i ristoranti e i locali dedicati all’ospitalità clusanese. Proprio accanto alla Cooperativa dei Pescatori, c’è una delle attività che ha da sempre sede in questo paese: la trattoria Al Porto, aperta come locanda dal 1862 e da sempre di proprietà della famiglia Bosio. Oggi, a condurre il ristorante, è Mattia Marini, alla sesta generazione, che ha preso le redini dalla mamma Gabriella Bosio. Una cucina che porta avanti la proposta di piatti che hanno fatto la storia del locale, come “gli spaghetti con i gamberi d’acqua dolce che – racconta Mattia – sono nati perché un po’ di anni fa c’erano tantissimi gamberi e mia mamma ha pensato di farci una pasta spadellandoli con aglio e olio in tutta semplicità e che è diventata poi uno dei piatti simbolo della nostra proposta”. Oggi la cucina è gestita con grande garbo dalla moglie di Mattia, Laura Gotti. Lei ha saputo portare avanti un compito arduo: continuare a soddisfare i palati degli ospiti come è stato fatto dalle precedenti generazioni.

In particolare, nel locale si preparano due ricette tipicamente clusanesi: l’insalata di luccio e la tinca al forno, la cui ricetta è oggi tutelata anche dalla Denominazione Comunale. Il primo è un piatto molto leggero e semplice pensato per valorizzare il luccio affiancandolo a delle verdurine. Lo si spadella appena e lo si serve come fosse un’insalata con zucchine e carote.



L’altro piatto da gustare è la celebre tinca ripiena, la cui ricetta è nata proprio in questo piccolo paese, quando di tinche se ne pescavano in abbondanza. Oggi non ce ne sono più e le tinche proposte vengono acquistate pescate in altri bacini italiani oppure da allevamenti virtuosi. In fase di sperimentazione c’è un nuovo progetto di allevamento in acquaponica ideato dallo stesso Mattia Marini in collaborazione con un’azienda mantovana di Vilimpenta, la Nutritech srl e azienda Agricola Biotica. Vista la carenza di tinche e la bassa quantità di carni dei pesci provenienti dal Trasimeno e dal lago di Bolsena dove oggi vengono reperiti la maggior parte dei pesci, è nato questo progetto sostenibile e a impatto ambientale zero in grado di allevare tinche dalle caratteristiche ottimali. Sì, perché una cosa deve essere molto chiara: il disciplinare della preparazione della tinca al forno di Clusane non fa riferimento all’origine del pesce, bensì è nato a tutela e per la valorizzazione della ricetta storica.






Il disciplinare e la Denominazione Comunale sono arrivate grazie alla forte spinta dell’Associazione OTC (Operatori Turistici Clusanesi) a tutela dell’ingegno nel trattare questo pesce povero di fondale, dalla carne tenera e saporita nel trovare un modo per renderlo più appetitoso, ovvero cucinarlo al forno con un ripieno a base di formaggio grana e pangrattato misto alle spezie, con una generosa dose di burro. Lo si chiamava anche “cappone ripieno dei poveri”, da servire rigorosamente accompagnato alla polenta di mais.






Per Clusane di Iseo è stato un modo virtuoso per dare identità al piccolo borgo, rendendo così il paese patria di uno dei piatti più conosciuti del Sebino.
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi