Covo è un piccolo centro abitato della bassa bergamasca, un luogo che in apparenza potrebbe sembrare anonimo, ma solo ad uno sguardo poco attento. Le grandi distese di campi destinati all’attività agricola accolgono ancora corti e cascine, testimoni di una lunga storia rurale che ha forgiato persone, usi e cultura.
In realtà, ogni angolo della nostra Penisola è densa di racconti e testimonianze di come le genti di ogni epoca si sono ingegniate per trovare soluzioni creative a uno dei grandi problemi dei secoli scorsi, prima che l’epoca industriale e moderna avesse il sopravvento: la sopravvivenza delle comunità rurali. Con ingegno e creatività le persone hanno saputo far fronte alle proprie esigenze che, man mano, anno dopo anno e decennio dopo decennio, sono inequivocabilmente mutate, così come le soluzioni maturate di fronte a tali necessità. Ed è in questo contesto che nascono anche quelle che noi chiamiamo tradizioni: non intese come un qualcosa di statico e immutabile nel tempo, ma un processo di trasferimento di saperi, soggetto come normale che sia a un naturale processo di acculturazione. Quello che oggi è il nostro patrimonio culturale gastronomico lo si deve a chi ha saputo trasferire tali nozioni, di generazione in generazione, mettendoci anche un po’ del proprio. Perchè il cibarsi è un vero e proprio atto culturale.
Anche a Covo (Bg) c’è stato chi, negli anni, ha saputo custodire e trasferire saperi legati ad un uso comune, che era quello legato alla preparazione di un particolare raviolo e, in seconda battuta, alla preparazione di una caratteristica salsiccia. Preziosi sono stati tutti gli attori che hanno mantenuto vivi questi saperi, altrimenti oggi non saremmo qui a raccontarne le storie.
Preparazioni nate per scopi diversi: la pasta ripiena per “celebrare”. Un vero e proprio piatto della festa, ricco di significati perchè, come diceva il poeta Tonino Guerra, “…il tortello è una pasta piena di pensieri…”. Il secondo, la büdelina, parla della storia delle nostre campagne e dell’economia rurale che ha per secoli sostenuto i mezzadri di queste zone, dell’allevamento del suino, dell’arte della norcineria e di come, unendo ingredienti così semplici, potessero nascere autentici tesori gastronomici.
Il raviolo nostrano di Covo De.Co: la sua storia e il disciplinare di produzione
La seconda domenica del mese di ottobre tra la fine dell’800 e i primi del ’900 era in uso in zona festeggiare con colossali mangiate di ravioli: un modo godereccio e conviviale di celebrare la fine dell’annata agraria nei campi prima del riposo e della stagione fredda. Di ravioli se ne facevano in grandi quantità e, a turno, ne mangiavano le diverse categorie: il lunedì era il giorno dei contadini, il martedì quello dei commercianti e così via dicendo. Questo è il racconto orale che da alcune generazioni si riporta. La “sagra” antica ha avuto il suo periodo di maggiore partecipazione negli anni dell’immediato dopoguerra e del boom economico, periodo in cui in molti andavano per trattorie. E di trattorie ce n’erano diverse a Covo, addirittura si pensa più di dieci (tante per un paese di circa 2000 abitanti). Questo almeno è quello che si racconta e non è dato, per ora, di trovare testimonianza scritta. Cosi come non si trova scritta la ricetta per la preparazione del ripieno e della sottile sfoglia di pasta per la preparazione dei ravioli. Le famiglie si sono tramandate le precise quantità e rapporto di combinazione tra gli ingredienti, ma come per tutte le ricette di casa, ognuno ci metteva del proprio.
La “sagra” è stata riporata in vita nel 1984 grazie ai soci della «Cooperativa XXV Aprile», che si mettevano ogni anno al lavoro per preparare i golosi ravioli nostrani mangiandoli fino a poco tempo fa nel salone della cooperativa stessa: purtroppo oggi non più.
Ma il raviolo nostrano non può e non deve andare perduto. Per questo motivo, grazie all’impegno di molti, tra istituzioni e gente del posto, piano piano si è riusciti a codificare la ricetta proteggendola con una Denominazione Comunale a cui oggi aderiscono alcune realtà del paese, in particolare: Losteria, il regno di Eleonora, dove è possibile gustare i ravioli quasi tutti i giorni in pausa pranzo, ma anche per la cena del sabato. Eleonora Ceresoli ha una grande passione per il mondo delle paste ripiene ed è stata una delle più grandi sostenitrici del progetto, se li volete assaggiare, questo è il posto giusto. Più recentemente hanno aderito anche la Pasticceria Maccalli e la Panificeria, che ne producono per la vendita.
Si tratta di una pasta all’uovo fresca farcita con un ripieno a base di carni miste di manzo e suino brasate al vino rosso. I ravioli devono essere di forma quadrata o a mezzaluna e vengono cotti nel brodo.
QUI IL DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEL RAVIOLO NOSTRANO DI COVO DE.CO.
Ma le novità non finiscono qui: grazie al lavoro instancabile del sindaco Andrea Cappelletti e di un bel gruppo di persone, in questo 2024 tornerà la sagra del raviolo nostrano De.Co. (negli spazi dell’Oratorio e in alcuni locali del paese, come Losteria) dove sarà possibile assaggiare il piatto condito con burro e formaggio e alcuni secondi, tra cui ci sarà anche l’altro prodotto valorizzato dalla Denominazione Comunale: la büdelina. La sagra si terrà il 12 e 13 ottobre 2024.
La büdelina De. Co. di Covo: cosa è e il disciplinare di produzione
Una salsiccia che non ha eguali, la büdelina, che ricorda a tratti la rinomata salsiccia di Bra. Per la sua produzione, viene insaccata in un budello naturale (la “Bagetta”, che presenta le giuste caratteristiche e la giusta dimensione) lievemente più grande della comune salsiccia a cui siamo tutti abituati, del calibro di 32-34 mm: questo per evitare di disperdere i succhi durante la cottura, mantenendola morbida e succulenta. Il vero plus di questo insaccato sta però nelle sensazioni che regala quando la si porta alla bocca. Innanzitutto la dimensione della grana del macinato di carne rigorosamente suina è molto fine, non deve infatti superare i 4,5 mm ed essere composto dal 70-75% di carne magra. Poi, la presenza nell’impasto di brodo di manzo e di grana padano dop regalano un deciso sapore umami. Ne risulta un prodotto dalla giusta e bilanciata sapidità, ben digeribile, che si scioglie in bocca.
Perfetta se cotta alla brace (l’importante e non cuocerla troppo, l’ideale è cuocerla al rosa), ma anche se preparata in umido.
Attualmente hanno aderito alla De.Co. la società agricola Agripig e la Macelleria Riva.
La gastronomia è un modo perfetto per valorizzare un territorio anche dalle piccole dimensioni come potrebbe essere un comune di provincia simile a Covo (Bergamo). Un’esperienza virtuosa che richiede la disponibilità di tutti, istituzioni, realtà del territorio, commercianti, artigiani e popolazione, ma che regala momenti di condivisione, confronto e convivialità fondamentali per le piccole comunità di provincia e per la tutela e salvaguardia del contesto in cui ogni giorno viviamo e operiamo.
Bravi!
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi