Quando si parla di suino, è facile che vengano subito alla mente le ricette, per lo più popolari, che raccontano di come il maiale, molto consumato in passato tra le popolazioni rurali, sia stato di fondamentale importanza nel loro sostentamento e, di conseguenza, ogni spreco veniva in assoluto evitato.
Oggi ci troviamo di fronte alla necessità di rendere il settore della macelleria (con l’allevamento) sempre più sostenibile, ma dall’altra parte il mercato promuove sempre più tagli facili da trattare, ma anche da apprezzare. Ecco che lombate, filetti e molti altri tagli nobili vengono consumati sempre più con il rischio che parti meno pregiate vengano ingiustamente lasciate in disparte. Sono però molti i professionisti della macelleria e della ristorazione che stanno accendendo i riflettori su tagli meno rinomati, ma anche sulle frattaglie: le loro caratteristiche, la loro lavorazione e pulizia, il loro consumo.
Noi abbiamo voluto andare ancora oltre ai tagli di seconda e terza scelta e oltre il mondo delle fratteglie. Con Danilo Cazzamali, macellaio da generazioni con la famiglia e il fratello Marco a Romanengo (CR), abbiamo voluto approfondire e raccontare anche di come nello stesso laboratorio di macelleria o nelle cucine professionali si possano valorizzare anche le parti destinate allo scarto, come ossi, cartilagini, pelle (non il cuoio) e grasso surrenale. Parti che se trattate a dovere possono essere utilizzate con grande soddisfazione, nella cucina, ma anche nella lavorazione delle carni come la frollatura, che oggi va tanto di moda.
Non è una novità che nelle cucine professionali si preparino i fondi; il fondo bruno ad esempio nasce grazie alla lunga cottura a bassa fiamma di alcune parti di scarto della lavorazione del manzo, come gli ossi. “L’utilizzo per la preparazione dei fondi delle membrane di tessuto connettivo fibroso che rivestono il muscolo, chiamate aponeurosi, – racconta Danilo Cazzamali – rendono più denso il fondo stesso, evitando così l’aggiunta di eventuali addensanti, regalando anche una bella intensità e profondità gustativa. Queste membrane sono una parte oggi riscoperta grazie anche alle macchine che permettono una facile asportazione delle stesse che prima veniva eliminata a mano e non in purezza”. Queste parti una volta cotte a lungo sono molto gelatinose e con l’aggiunta di ritagli di carne possono essere utilizzati anche per preparare le terrine.
Un’altra parte ricca di connettivo è la pelle. “Per pelle, in macelleria, si intendono la testina e le zampe e non il cuoio, che andrà invece incontro ad altre lavorazioni”, racconta ancora Cazzamali. “Con la pelle di testa, ma anche con le zampe, si possono preparate alcune prelibatezze, come avviene in Piemonte e in Lombardia: se dalle zampe si ricavano i nervetti, è vero che qualora rimangano intere e cioè con la pelle, si possono ricavare preparazioni simili ad essi, ma ben più morbidi e digeribili. Lo stesso può avvenire con la testina, che una volta cotta può essere tagliata a fette sottili, consumandola fredda e condita, oppure calda nel bollito. Basta abbinare alla testina un buon bicchiere di champagne e tutti i pregiudizi su questo prodotto svaniscono!” afferma Danilo.
Infine, con il grasso surrenale è possibile preparare il sego, che non è la stessa cosa dell’ormai sempre più diffuso butcher butter, preparato utilizzando i grassi intramuscolari e intermuscolari. “Il grasso surrenale dei ruminanti – racconta Danilo –è da sempre trasformato in candido sego. Un prodotto molto adatto alla cottura e frittura, perché ha un punto di fusione molto alto (250° circa), regalando una croccantezza unica, ma anche alla conservazione: è un perfetto alleato ad esempio per la frollatura delle carni (di moda è l’utilizzo del burro: un vero spreco e un ato costo), soprattutto se proviene dallo stesso animale”. Il suo utilizzo nel tempo si è sempre più limitato a causa del suo odore, soprattutto in animali alimentati in modo massiccio con insilati. E’ un grasso saturo quindi deve essere utilizzato con moderazione anche se ricco di vitamina D, acido linoleico e alti livelli di Omega 3. “La sua lavorazione è lunga, perché una volta tolto dall’animale va sminuzzato, poi fuso (45° circa), avendo cura di eliminare le impurità. A differenza del burro, è più sodo e più difficile da lavorare e maneggiare, anche se sta tornando di moda grazie alle lunghe frollature” conclude Danilo.
Prodotti di scarto, ma che soprattutto nelle cucine professionali potrebbero essere utilizzati, grazie anche al loro basso costo. Del maiale non si butta via niente? Nemmeno del manzo!
Meditiamo.
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi