Si sente sempre più spesso parlare di fermentazioni spontanee e vini “naturali”, ma forse non tutti hanno chiaro di cosa si tratta e il motivo per cui se ne parla molto. Non una moda, non una religione (anche se per alcuni lo è diventata): ecco qualche spunto per iniziare a muoversi con più consapevolezza nel mondo dei vini “naturali” (o artigianali).

Il concetto di naturale, in contrapposizione all’artificiale, è un qualcosa che la società in cui viviamo attualmente ricerca sempre più e con più forza. Quando si raggiungono gli estremi in ciò che si ritiene artefatto scatta la ricerca verso un qualcosa percepito come autentico, essenziale, naturale. E’ così ormai in tutto il comparto enogastronomico, infatti dopo decenni passati a enfatizzare il cibo industriale, standardizzato e omologato, c’è stato un forte focus attorno al concetto di tradizione, natura e purezza. Necessità che non si sarebbe mai palesata se la percezione di artificiale non si fosse mai avvertita, insomma… un bisogno dei giorni nostri.
In realtà nessun cibo o vino può essere classificato in assoluto come artificiale o naturale, quindi è forte l’esigenza di dare un significato vero a ciò che descriviamo come “naturale”.
Tutti sappiamo che il vino è il frutto della fermentazione alcolica del mosto d’uva che avviene grazie all’instancabile lavoro di alcuni particolari lieviti. In natura esistono tantissime tipologie di lieviti e diviene difficile selezionare solo uno o più ceppi: nel mosto, qualora la fermentazione non venisse gestita al meglio, si svilupperebbero fermentazioni di altro tipo, ad opera di lieviti diversi da quelli responsabili della fermentazione alcolica. Il risultato? Un vino che presenta grossi difetti. Dall’eccesso di acido acetico, che regala al vino uno spunto acido importante che si avvicina all’aceto, ma anche altri aromi e odori sgradevoli. Insomma, il vino dei tempi antichi. Per ovviare a ciò, da decenni in cantina si utilizzano lieviti selezionati in grado di opporsi allo sviluppo dei lieviti non necessari, a fine di guidare la fermentazione nella direzione corretta. Questo porta però alla produzione di vini utilizzando anche azioni correttive, sia in vigneto che in cantina. Questa è una semplificazione estrema per cercare di raccontare il motivo che sta portando sempre più vignaioli, ma anche grandi cantine, alla produzione di vini senza l’utilizzo di lieviti selezionati, ma prodotti essenzialmente gestendo e guidando il lavoro dei lieviti presenti naturalmente in cantina, azzerando l’intervento con prodotti chimici di origine artificiale (la fermentazione alcolica è essa stessa un insieme di reazioni chimiche naturali).
Ecco che si entra nel mondo della fermentazione spontanea e dei vini “naturali”, che necessitano di un lavoro ottimale in vigneto, in cantina, ma anche di grandi conoscenze rispetto ai processi chimici naturali che avvengono durante ogni fase della produzione di un vino. Questa è la grande differenza tra ciò che probabilmente succedeva nelle anfore e nelle cantine secoli fa e quello che accade oggi: un tempo il risultato era affidato al caso, oggi alla conoscenza. Il mosto viene trasformato in vino senza aggiungere i lieviti selezionati. Un po’ come avviene nel mondo del formaggio quando lo si produce da latte crudo. Nella produzione di vino i lieviti e i batteri naturalmente presenti nelle uve e in cantina lavorano instancabilmente, guidati dall’uomo e da tutta una serie di cure, per la produzione di un vino unico perché si sa, ogni cantina e ogni ambiente è da considerarsi unico. Uve coltivate rispettando la pianta in grado di raccontare il territorio e intervento minimo e mirato in cantina permettono di produrre vini di terroir: in grado cioè di rappresentare a tutto tondo le interazioni tra ambiente e uomo nella produzione di un vino irripetibile altrove.
In passato, alcuni produttori di vini naturali con idee estreme, erano convinti che fosse sufficiente produrre delle buone uve. Una volta arrivati in cantina, il vino si sarebbe “fatto da solo”. Ecco, questo ha portato nelle fasi di approccio alle fermentazioni spontanee al proporre vini che spesso mancavano di piacevolezza, poco interessanti se non difettosi. Ovviamente una vinificazione non interventista (con fermentazioni spontanee, senza lieviti selezionati, anidride solforosa o altri additivi) deve essere condotta con la consapevolezza della necessità di maggiori e puntuali cure da dedicare ai mosti e alla pulizia.
Partendo da questo presupposto, le fermentazioni spontanee rappresentano una grande opportunità per esaltare l’unicità e l’irripetibilità di un determinato vino, che si potrà fare solamente in una determinata vigna. Ciò non vuol dire che bisogna accettare risultati casuali, ma valorizzare chi ha intrapreso questa strada in maniera consapevole e con le dovute conoscenze. Una vera manna per stimolare sempre più la curiosità consumatori e appassionati, nonostante i vini così prodotti rappresentino ancora una piccola nicchia. Non deve però diventare pura ideologia: i vini “naturali” sono sicuramente uno spicchio interessante della produzione enologica italiana e non, che può provocare e stimolare prese di posizioni e strade differenti dall’approccio del passato. Se però diventa ideologia, è puro esercizio divisivo che rischia di diventare contrasto fine a sè stesso.
Cosa che forse a qualcuno piace, ma nel mondo del vino, in fondo, i grandi racconti e le parolone sono caratteristica dei pochi addetti ai lavori e della manciata di eno-fissati: là fuori si beve vino spesso industriale da pochi euro, che piaccia o no. Se si facessero meno chiacchiere e una comuncazione comprensibile, se si parlasse a tutti e non a pochi, se i vignaioli avessero il coraggio di uscire dai loro piccoli giri esclusivi in cui se la raccontano spesso tra loro, forse potrebbe scatenarsi una piccola rivoluzione. Forse. Perchè non è screditando “l’altro” che si ottengono consensi, ma informando più persone possibili.
Il mondo del vino “naturale” è in effervescenza e diverte, un vino dai costi più contenuti rispetto alle grandi etichette, che può regalale grandi soddisfazioni. Minor costo per il consumatore finale, ma anche per l’enoteca o il ristoratore; maggior rispetto del territorio e sostenibilità: non un credo, ma un’opportunità che può coesistere con tutte le altre e farsi sempre più forte.