Il fatto che in questi anni i lievitati artigianali abbiano visto una grande diffusione sulle tavole e nelle dispense delle persone non ha risolto quella che è la cattiva reputazione del candito: quel piccolo pezzo di scorza gommoso, a volte duro, e zuccherino che da sempre si ritrova sul tovagliolo come scarto sulle tavole del Natale in compagnia dell’uvetta.
I canditi non piacciono. Non piacciono agli adulti, non piacciono ai ragazzi, non piacciono ai bambini. Tutti ad infilare le dita nella pasta per toglierli e mangiare il dolce libero da quei fastidiosi e inutili inserti.
Sono molti i dettagli e le caratteristiche (tra cui la scelta dei canditi) che differenziano un dolce lievitato da ricorrenza artigianale da quello industriale. La scelta di utilizzare materie prime nobili, come burro, uova, farine e non semi-lavorati o mix già preparati. La lenta conduzione del processo di lavorazione, dall’impasto alla lievitazione, alla cottura, fino al riposo. Molti citano anche l’utilizzo del lievito madre, anche se spesso è un mero specchietto per le allodole. Il lievito madre vivo lo utilizzano in pochi e le motivazioni sono plausibili e facili da comprendere: esso richiede una cura massima per la sua sopravvivenza, una gestione scrupolosa, ma senza garanzia alcuna sulla costante buona riuscita del lievitato. In parole semplici, utilizzando nel proprio impasto lievito madre vivo (e non quello liofilizzato o quello in polvere, che non ha le stesse caratteristiche) non si ha alcuna garanzia che il lievitato riesca alla perfezione. Se voi acquistaste un panettone artigianale al prezzo di mercato attuale (38-45 euro al kg) e non fosse perfetto, cosa fareste? L’utilizzo di lievito madre vivo non è quindi così diffuso come invece sembra dai racconti e nella comunicazione di molti produttori, ma questo è un altro, enorme, problema.
Tornando alle materie prime, ci sono anche i bistrattati canditi, oltre all’uvetta.
La loro produzione artigianale non è affatto banale, così come le loro caratteristiche gustative. Se ben fatti, sono un prodotto che merita valore e comprensione.
Allontaniamoci dai ricordi, per una nuova concezione del candito.
Ma cosa è il candito e come si produce?


La canditura non è nient’altro che un modo per conservare vegetali commestibili come la frutta. In modo molto simile alla preparazione di marmellate (se provengono da agrumi) o confetture, si cerca di concentrare il grado zuccherino al fine di limitare l’attività dell’acqua (misurata come aw) e, di conseguenza, lo sviluppo di microrganismi che porterebbero alla naturale decomposizione. Il candito industriale concettualmente è lo stesso di quello artigianale: ciò che cambia sono le scelte effettuate a monte e la gestione del processo di lavorazione, un po’ come avviene nel mondo delle confetture.




La prima scelta da effettuare per la produzione del candito riguarda la frutta. Si possono candire diverse tipologie di frutta, dalla classica scorza di arancia, ma anche di pompelmo o limone, fino all’albicocca, la pera, l’amarena, l’ananas, il melone, il fico, la zucca, i marroni e così via. Innanzitutto la frutta va raccolta sana e al giusto grado di maturazione. Questo influisce nei sentori e nell’aroma del candito finale, nel dosaggio dello zucchero e nella consistenza finale.
A questo segue la lavorazione vera e propria, nota come canditura. La frutta viene messa nelle vasche di canditura in una soluzione zuccherina. Durante il processo, che richiede diverso tempo in relazione alla tipologia e alle caratteristiche della frutta stessa (e di conseguenza anche alla concentrazione zuccherina che si vuole raggiungere), per osmosi lo zucchero penetra nella frutta e prende il posto dell’acqua grazie al fatto che le concentrazioni zuccherine interne ed esterne alla frutta tendernno naturalmente ad equivalersi: questo è in parole semplici il fenomeno dell’osmosi.
L’obiettivo è quello di arrivare a circa il 70% di concentrazione di zuccheri (che ne garantisce la perfetta conservazione). La bravura dell’artigiano sta nel monitorare la frutta nei giorni del processo, gestendolo a dovere in funzione di ciò che vorrà ottenere in termini di struttura, sapore e aromi.
Un processo dalla complessità enorme, artigianale e in grado di regalare grandi soddisfazioni. E’ giunto il momento di ridare al candito la sua dignità, perchè se lo merita.
Ricordiamocelo quando scegliamo i canditi per la preparazione dei nostri lievitati, ma anche quando durante le feste ci troveremo di fronte all’ennesimo panettone artigianale: sfondiamolo questo muro e godiamo anche di questo piccolo gioiello della conservazione alimentare.
Non tutti i canditi sono QUEI canditi.
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi scattate per Puntogel Srl