Sono state inventate tante nonne per dare il nome ai tanti casoncelli preparati a mano che si possono trovare nei molti ristoranti della provincia di Bergamo. Ricette perfezionate negli anni, alcune più buone di altre, ma tutte ben curate e ben fatte.
Che li prepari la nonna di fantasia oppure no, il casoncello è il raviolo che mette d’accordo quasi tutti, tranne quando tornano rigurgiti campanilistici tra le due provincie confinanti, quella di Bergamo e di Brescia. Ma tralasciando la questione, le nonne che tutti noi abbiamo avuto, buone cuciniere o meno, i casoncelli non li preparavano quotidianamente in casa, come i nostalgici racconti vorrebbero far pensare. Bensì, li comprano/compravano quasi sempre alla bottega ed erano quelli confezionati, pronti da gettare in acqua bollente e da condire con abbondante burro fuso, pancetta e salvia. Ancora in molti paesi delle valli bergamasche e della pianura, le paste ripiene vengono preparate a mano quasi esclusivamente in occasione di ricorrenze particolari soprattutto negli oratori. Sì, è proprio in quei luoghi che si son tramandate le migliori ricette: potremmo definire quindi le numerose ricette dei casoncelli più che ricette di famiglia, delle vere e proprie ricette di comunità.
Questo è il motivo per cui per le attività commerciali promuovere “la ricetta della nonna” è puro marketing. Ha un senso invece promuovere paste ripiene territoriali, e per fortuna qualcuno ci ha pensato. Ad esempio il caso delle creste scalvine (una recente bella invenzione), ma anche del raviolo nostrano di Covo, ma anche dei Bertù di San Lorenzo o gli Scarpinocc di Parre. Paste ripiene diverse, promosse con modalità diverse, tutte con l’obiettivo di creare valore attorno ad un prodotto e al suo territorio. Tutto questo ricade poi sulle attività commerciali coinvolte e a tutto il sistema, non il contrario. Anche per il casoncello, in parte, è andata così grazie alla creazione del marchio che lo identifica per opera della Camera di Commercio di Bergamo.
Per dovere di cronaca però, è bene sottolineare che una delle ricette scritte tra le più vecchie si può trovare nel Ghiottone Lombardo del 1964 scritto da Carlo Stainer. L’autore afferma con convinzione che, nella diatriba tra Bergamo e Brescia per affermare la paternità della ricetta, sia senza dubbio Bergamo ad averla vinta. Ma il motivo non lo scrive. Ad ogni modo, ecco la ricetta riportata nel libro.
Casonsej alla bergamasca
Si cuociono in acqua zuccherata delle belle pere del tipo detto “spadone”. A cottura avvenuta si mescola la polpa dei frutti tagliati a pezzi con mandorle dolci sbucciate, mostacciolo od amaretti, e frutta candita a tocchetti minuti. Il tutto va impastato in un mortaio di marmo. Se l’impasto risulta troppo acquoso si aggiunge della semola di grano. L’impastatura finale si ottiene con burro e un uovo fresco. Il ripieno ottenuto in tal modo si dispone su quadretti di pasta d’uovo e farina che viene involtata strettamente, come la carta delle caramelle di fattura ottocentesca. I casonsej si condiscono con burro fuso nero e, volendo, con formaggio di grana.
Qualcuno potrebbe già storcere il naso, ma ho riportato il testo (e le convinzioni del dott. Stainer) per dimostrare quanto le rigide tradizioni non esistano e quanto queste siano più una questione culturale e di comunità, frutto dei tanti scambi tra persone, intuizioni e risorse disponibili.
Arrivando ai giorni nostri, ormai da alcuni anni la Camera di Commercio di Bergamo ha deciso di codificare la ricetta e, come scritto qualche riga fa, istituito un marchio per la tutela della stessa. Chi vuole utilizzare il marchio deve attenersi al disciplinare di produzione, come è ovvio che sia. Ciò non vuol dire che quella che riportera il disciplinare sia l’unica e vera ricetta. Questa è quella che, in base a ricerche effettuate sul territorio, a prove di assaggio e di preparazione, è risultata una ricetta buona, ben fatta, che potesse rappresentare così la promozione commerciale dei cosiddetti Casonsei de la bergamasca.
In breve, le indicazioni. Ingredienti (riporto solo la tipologia e non le quantità, in fondo all’articolo c’è il LINK al disciplinare): macinato base per il salame, pane grattugiato o in alternativa grissini privi di sale ed ogni altro elemento aggiuntivo, pere, carne bovina arrostita, formaggio Grana Padano, uova o corrispondente quantità di misto d’uova pastorizzato, uva sultanina, amaretti, spezie, scorza di limone, aglio e prezzemolo, sale marino.
Procedimento: si amalgamano gli ingredienti per il ripieno, si prepara la pasta all’uovo e si crea la tipica forma, che non è a caramella come scrive Stainer, ma il disco di pasta riempito viene prima ripiegato sul ripieno, quindi vengono chiusi i bordi in maniera da evitare la fuoriuscita del ripieno stesso ed, infine, viene pressata la parte più alta affinché il disco assuma la tipica forma a mezzaluna con una pressatura al centro del diametro di piega.
A questo punto arriva il bello, perchè ho deciso di assaggiarne 3 tipologie, prodotte da 3 diversi partifici locali, tutti prodotti seguendo il disciplinare della Camera di Commercio. Li ho conditi con la stessa pancetta, lo stesso burro e la stessa salvia: in tipologia e quantità.
Ecco le immagini e la descrizione.
ASSAGGIO 1: Pastificio Orobico
Ingredienti della pasta: semola di grano duro, farina di grano tenero 00, uova fresche pastorizzate, acqua
Ingredienti del ripieno: pan grattato, impasto di salame, carne arrosto bovina, grana padano, pere, uova fresche pastorizzate, prezzemolo, uva sultanina, sale, amaretti, scorza di limone, spezie.
FORMA
La forma è quella a mezzaluna, schiacciata al centro. Leggermente più piccoli del solito, ma questo potrebbe essere un aspetto positivo: il boccone è più semplice da mettere in bocca e gustare.
ASSAGGIO
La pasta è sottile, ma non troppo, e tiene benissimo la cottura per il tempo indicato. La masticabilità è buona, molto piacevole. Poi si arriva però al ripieno, la parte più caratterizzante: risulta ben compatto, ma presente in poca quantità, vista anche la dimensione piccola del raviolo. Nonostante vi siano tutti gli ingredienti, prevale un sentore di carne generico, sapido il giusto e con un umami marcato. Si percepiscono lievi aromi che ricodano la salsiccia, quindi la carne di maiale con la sua tipica speziatura. Non ho percepito la dolcezza della pera e dell’uva sultanina, nemmeno l’amaricanza dell’amaretto. Completamente assenti. Ricorda un raviolo con ripieno di carne qualsiasi: poco equilibrato, su cui prevale la pasta.
ASSAGGIO 2: Pastificio Davena
Ingredienti della pasta: farina di grano tenero 00, semola di grano duro, misto d’uovo pastorizzato, acqua
Ingredienti del ripieno: impasto di salame, pangrattato, pere, carne bovina arrostita, formaggio Grana Padano DOP, uva sultanina, amaretti, scorze di limone, piante aromatiche, spezie
FORMA
La forma è quella corretta, la dimensione anche. Sono a mezzaluna schiacciata, molto regolari.
ASSAGGIO
La pasta è dello spessore corretto e si fa masticare bene, anche se forse potrebbe esserne migliorata la sua elasticità per la tenuta in cottura: dopo pochissimi minuti, la pasta dei ravioli tende a rompersi lateralmente, lasciando fuori uscire parte del ripieno. Al morso risulta comunque gradevole e delicata e non prevale sulla parte più importante: il ripieno. Gli ingredienti sono quelli corretti e si sentono più o menu tutti, forse l’amaretto prevale un po’ troppo e, dopo qualche boccone, rende i successivi un poco stancanti e stucchevoli. Ma comunque il casoncello si riconosce, non male.
ASSAGGIO 3: Raviolificio Poker
Ingredienti della pasta: semola di grano duro, farina di grano tenero tipo 00, acqua, uova
Ingredienti del ripieno: macinato base per il salame, pangrattato , carne bovina, pere, Grana Padano, burro, uva sultanina, sale, uovo, prezzemolo, amaretti, aglio, scorza di limone, cipolle, piante aromatiche, spezie. Spolvero di farina di riso.
FORMA
Dire che questa sia la forma corretta sarebbe eccessivo: sono una semplice mezzaluna. Il disco di pasta su cui poggia il ripieno vine semplicemente ripiegato su se stesso. Manca la seconda piega.
ASSAGGIO
Quando si mettono a bollire, tengono la cottura alla perfezione, non si sfaldano e la masticabilità è perfetta. Nonostante questo raviolo cada sulla forma, il resto si è rivelato perfetto, di grande equilibrio e piacevolezza: non me lo aspettavo. La quantità di pasta è ben bilanciata, ma la nota più importante riguarda la farcitura. Il ripieno si avvicina molto a quello dei ravioli artigianali preparati a mano. Ben equilibrato, all’assaggio arriva tutto: la pasta di salame, l’umami della carne arrosto, la dolcezza della frutta, l’amaricanza dell’amaretto e, nota fondamentale e completamente mancante negli altri: la freschezza della scorza di limone, che ad ogni boccone pulisce la bocca e la prepara all’assaggio successivo. Questo pastificio ha probabilmente dedicato molta attenzione alla creazione e allo sviluppo di questo raviolo. Ragion per cui lo si trova nella maggior parte dei supermercati locali, ma anche nelle piccole botteghe. Sicuramente non è solo merito di una buona politica commerciale. Peccato solo per la forma: unico aspetto che non determina la perfezione.
Facile da capire quale io abbia preferito, ovviamente è solo il mio parere e nulla voglio togliere agli altri. Se volete assaggiare a casa un prodotto di grande soddisfazione, senza mettervi ad impastare o alla ricerca del raviolificio più vicino, sapete cosa cercare.
Da condire con pancetta dolce, burro buono e salvia fresca. Se vi piace, ci sta bene anche una bella grattugiata di Grana Padano DOP.
QUI TROVATE IL DISCIPLINARE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI BERGAMO
Assaggio, parole e foto di Lara Abrati