Esiste un’isola lacustre conosciuta, ma non troppo, che si fa scrigno di numerosi prodotti e numerose tradizioni gastronomiche. Si tratta di Monte Isola, che si trova al centro del lago Sebino; bacino lombardo che si divide tra due provincie, quella di Bergamo e quella di Brescia.
Qui il clima mite del lago permette la coltivazione dell’ulivo, con la conseguente produzione di olive la cui spremitura porta alla produzione dell’olio extra vergine (sul’isola c’è anche il frantoio); si lavorano inoltre le carni di suino per la produzione dell’omonimo salame, rigorosamente preparato con tagli nobili e tagliato “a coltello”. Infine, ma non per minore importanza, il pesce di lago fresco, come l’agone, il luccio, la trota, il coregone, la tinca e molto altro ancora. La loro delicatezza e deperibilità hanno da sempre inciso sulla fattiva esigenza di conservarne le carni per un consumo costante lungo l’anno.
Non si è inventato nulla.
La conservazione di carni e pesci mediante essiccazione e/o salagione ha storia antica e si pratica in ogni parte del globo: anche su questa piccola isola, come in molte zone lacustri del nord Italia.




In questo contesto da alcuni anni viene valorizzata la sardina di Monte Isola, che da tradizione si prepara nel periodo freddo. Oggi tutelata anche da una Denominazione Comunale, condivide il Presidio Slow Food con il cugino coregone.

Per la preparazione della “sardina di Monte Isola”, si utilizzano gli agoni pescati nel periodo invernale: sono belli grossi, ma contengono poco grasso. Caratteristica questa che gli permette di conservarsi al meglio. “I pesci, vengono eviscerati e puliti per bene, – racconta Lorenzo Archetti, uno dei pochissimi pescatori professionisti del lago, che nel suo laboratorio effettua la lavorazione e l’essicazione dei pesci – poi vengono messi in un tino con il sale, poco rispetto alla quantità utilizzata ad esempio nell’acciuga: più o meno 500 g ogni 10 kg di pesce. Qui vengono lasciati circa 48 ore sotto pressione, per poi essere tolti, rigorosamente lavati e messi ad essiccare per circa 1 mese. A seguire, riposano per almeno 3 mesi in olio di semi, per poi essere pronte per la tavola”. Un processo simile quello dei coregoni, che però vengono aperti a libro e la testa viene eliminata.






Noi li abbiamo preparati e consumati secondo tradizione: accesa la brace, li abbiamo sbattuti sulla griglia qualche minuto per lato, fino a che la pelle non ha fatto le bolle. Tolti e serviti con un intingolo a base di olio extra vergine di oliva, prezzemolo e aglio. Qualche fetta di polenta del giorno prima abbrustolita e stop. Idem per il coregone, che l’abbiamo anche utiizzato sbriciolato con le mani per condire un bel piatto di pasta, con qualche pomodorino appena spadellato: è una libidine.




Le carni sono belle asciutte, tenaci e quasi plastiche sotto ai denti. Le spine si tolgono bene e quelle che rimangono non sono percepibili in alcun modo. Dal sapore e aroma intensi, sapide quanto basta per accogliere il condimento e unirsi alla perfezione alla polenta abbrustolita, ben più dolce del pesce. Il coregone si differenzia per l’aroma particolare e bensi presta per condire un buon carboidrato: che sia una pasta o una pizza (da cuocere alla piastra prima, poi da lavorare a mano e mettere come farcitura dopo la cottura in forno).
Per gli amanti del cibo semplice, dal sapore intenso.

Le potete acquistare da Lorenzo Archetti, dell’omonima pescheria di Monte Isola. In loco oppure ai mercati rionali a cui partecipa.
Per info e contatti: www.pescheriafratelliarchetti.it
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi