La cucina alpina e i suoi ingredienti. Tra le varie opportunità, sono ancora molti quelli che non conoscono il lichene e le sue caratteristiche per il suo utilizzo in cucina.
Sono ormai alcuni anni che la cucina di montagna sta cercando di caratterizzarsi sempre più e non per gli usi tradizionali e i prodotti a cui siamo soliti fare riferimento, come salumi e preziosi tesori caseari. L’utilizzo infatti dei prodotti che si possono reperire direttamente nei pascoli e nei boschi, anche detto foraging, sta esplodendo nel mondo professionale, così come la tendenza a trasformare le materie prime utilizzando processi ancestrali e totalmente naturali, come le fermentazioni. Nonostante non si sia scoperto nulla di nuovo, si può affermare però sia nato un vero e proprio concetto nuovo (che forse è già ormai vecchio): la cucina alpina, che pone le sue basi su alcuni usi della cucina nordica (nord Europa). Pionieri in questo due chef di alto livello: lo chef pluristellato Norbert Niederkofler e il non meno valoroso Alessandro Gilmozzi, anch’esso vanta la stella Michelin, con il suo ristorante El Molin in Val di Fiemme. Ecco che affumicature, cotture alla brace, pesci d’acqua dolce, muschi e altri prodotti “di montagna” caratterizzano la proposta, designandone confini e stili.
Uno dei prodotti che inizia a comparire in alcuni piatti è il lichene. Non è un prodotto nuovo, questo è certo, ma sono molte le persone che non l’hanno mai assaggiato e che poco sanno delle sue caratteristiche.
Anche nelle zone alpine della bergamasca, Mea Tagliaferri, ex cuoca dell’Hotel Ristorante San Marco di Schilpario (Bg), in frazione Pradella, li ha proposti sempre nella sua cucina (ormai passata a una gestione giovane). “A Schilpario (e in tutte le zone alpine) i licheni si sono sempre mangiati: venivano raccolti, essiccati e poi, nelle serate invernali, messi a bagna e sbollentati” racconta Mea. La tradizione era quella di servirli tiepidi con un’insalata di patate, mentre a volte con dello stoccafisso prima bagnato e poi cotto in acqua bollente.
Ma come si utilizzano? Si raccolgono e si fanno essiccare al fine di conservarli al meglio. Prima dell’utilizzo, vanno messi in ammollo, poi si sbollentano. Il tocco che li rende golosi consiste nell’aggiungere una parte acida, come aceto di mele o balsamico, per smorzare la loro gradevole nota amara. La consistenza è croccante e piacevole per il palato. Anche in altri locali del paese di Schilpario in valle di Scalve (Bergamo) si preparano allo stesso modo: oggi si possono infatti assaggiare oggi al ristorante Edelwaiss, in pieno centro paese.
Se ci spostiamo un poco più verso la Valle Camonica, in provincia di Brescia, in particolare Al Resù di Lozio, anche la giovanissima Greta Gemmi li utilizza talvolta nella sua cucina.
Ma i licheni cosa sono e di cosa sanno?
Il lichene islandico (si chiama così: il suo nome non ne determina la provenienza) è sostanzialmente un organismo vegetale nato dalla simbiosi tra un fungo e un’alga. Semplificando al massimo, si potrebbe affermare che è proprio questo il motivo per cui riescono a sopravvivere in luoghi poco ospitali, come le zone di montagna, le rocce o le zone polari. Le principali tipologie di lichene sono commestibili e possiamo affermare che la loro tendenza gustativa si rifà al sapore amaro. Un sapore che intriga sempre più e che, se ben utilizzato, più essere apprezzato da tutti. In realtà la natura ci spinge ad evitare i cibi amari: questo perché l’amaro in genere è sinonimo di tossicità, di pericolo. Per questo motivo durante l’infanzia, viene preferito il sapore dolce. Poi, crescendo, si impara a distinguere e a apprezzare l’amaro nelle sue sfumature. A riconoscere quello che segnala un pericolo di avvelenamento dalla nota ricercata e che aggiunge valore aggiunto a un piatto o a una bevanda.
Il lichene dunque è uno dei protagonisti della cucina di montagna che piace sempre più. Bacche, erbe spontanee, legno, cenere, radici e molto altro son diventati parte importante di una cucina che mira a valorizzare sempre più materie prime semplici, povere, che arrivano direttamente dalla natura. L’ambizione è quella di affinare la tecnica per imparare a utilizzarle al meglio, con creatività e rispetto, per l’ambiente e l’ospite che dovrà poi gustarle.
Parole e fotografie di Lara Abrati