Di classifiche, consigli e assaggi ne è, come ogni anno, pieno il web. Ormai trovare un panettone davvero ben fatto e buono non è cosa difficile. Dai classici ai creativi, sono davvero tanti i bravi pasticceri, chef e fornai che preparano autentiche bontà.
Ma vorrei entrare un poco nel merito e con molta umiltà provare ad accompagnarvi nella scelta e nell’assaggio.
Entrando in qualsiasi supermercato, è davvero molto facile lasciarsi attrarre dalle belle fotografie presenti sulle confezioni dei principali panettoni di tipo industriale. Solo all’apparenza belli da vedere, ma anche dal prezzo davvero accattivante: anche dieci volte inferiore rispetto al prodotto artigianale. Il motivo c’è e, chiunque ne abbia assaggiati di entrambe le tipologie, sa benissimo che non c’è proprio paragone, a partire appunto dal prezzo: per il prodotto artigianale è infatti normale spendere dai 20 ai 35 euro, ma anche più. La differenza di valore è ben giustificata da due grandi variabili principali: il metodo di lavorazione artigianale e la scelta delle materie prime.

Il metodo di produzione è davvero importante al fine di garantire la corretta lievitazione e maturazione dell’impasto, fino alla formatura, alla cottura e al riposo. Le materie prime lo sono forse ancor di più: diventa infatti importantissimo per il consumatore imparare a leggere le etichette (anche dei prodotti etichettati come artigianali) e fare le proprie considerazioni, effettuando poi una scelta responsabile e consapevole. Oltre alla farina, in un buon panettone artigianale sono presenti materie prime nobili, come il burro a rappresentare la parte grassa, il tuorlo d’uovo, lievito di pasta madre, uva sultanina, lo zucchero, la scorza di arancia candita. Ci possono essere anche altre materie prime naturali come il miele o la vaniglia. Niente conservanti, emulsionanti o aromi di provenienza artificiale.
Ecco, una considerazione sull’utilizzo di lievito madre: sarebbe bello che si indicasse l’uso di lievito madre “vivo” o “essiccato”, ribadendo che non c’è nulla di male nello scegliere il secondo, ma è bene che chi acquista ne sia a conoscenza e che spesso, la sua attivazione, richiede anche un piccolo uso del lievito di birra.
Il panettone è inoltre un dolce la cui fragranza si riduce nel tempo, per questo motivo va consumato prima possibile (entro massimo 40 giorni dalla produzione). In generale, il consiglio è sempre lo stesso: poco, ma buono. Consumarne meno, ma di alta qualità.
Consigli sul servizio e sull’assaggio del panettone
Se assaggiato a una temperatura attorno ai 22-24 °C (leggermente tiepido) permette alle sostanze aromatiche volatili di sprigionarsi; queste sono le molecole che vanno a stimolare il nostro olfatto e si traducono in profumi e odori. Se il panettone è servito a una temperatura più bassa, non è possibile percepire tutto quello che il nostro dolce lievitato ha da offrire. Fragrante, morbido e digeribile, con uvetta e canditi morbidi, caratterizzati dai rispettivi tipici aromi e ben integrati nella pasta. Ad alcuni sembrerà strano, ma quando si è in compagnia di un buon panettone di qualità, una fetta tira l’altra, per davvero.
Il Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese
Il panettone tradizionale viene ormai prodotto nella maggior parte delle pasticcerie d’Italia. Il livello di qualità nella preparazione del dolce stesso è ormai molto alto quasi ovunque, così come la bontà delle sue versione creative e personali. Ma come tutte le ricette diventate simbolo di un territorio, di una ricorrenza e di una tradizione, è bene tutelarle, segnando dei confini e dando indicazioni, lasciando comunque la personale libertà di interpretazione. I pasticceri milanesi hanno quindi deciso di salvaguardare il dolce del Natale per eccellenza e l’hanno fatto depositandone un disciplinare di produzione presso la camera di commercio di Milano. Le prescrizioni riguardano sia la scelta degli ingredienti che le fasi di produzione; i panettoni prodotti secondo disciplinare vantano la possibilità di utilizzare l’apposito marchio. Nella ricetta sono assolutamente vietati ingredienti come lievito di birra, amido, grassi vegetali (ad esclusione del burro di cacao), siero di latte e derivati, lecitina di soia, coloranti, conservanti.

Si deve necessariamente presentare della tipica forma cilindrica, dovuta allo stampo di cottura che rimane attaccato al prodotto finito. La crosta superiore è tagliata in modo caratteristico attraverso la classica scarpatura, un taglio a croce per formare quattro lembi di pasta (dove viene posizionato anche un cubo di burro) che, dopo la cottura, daranno il tipico aspetto superficiale. Inoltre, essendo vietato il lievito di birra, all’assaggio dovrà presentare l’aroma lievemente pungente tipica della lievitazione a pasta acida (pasta madre viva). Infine, deve contenere non meno del 20% in peso sul prodotto di uvetta sultanina, scorze di arancia candite e cedro candito sull’impasto.

Il panettone di Arlecchino, raccontato nel ricettario firmato da Steiner
Quanto al Panettone di Arlecchino, si tratta di un uso antico ben descritto nel libro di ricette Il Ghiottone Lombardo di Carlo Steiner (edito a Milano nel 1964) dedito al racconto di “Costumanze, tradizioni e ricette della buona tavola lombarda”, si racconta di una preparazione in uso, secondo l’autore, soprattutto nella Lombardia del nord (che idealmente poteva corrispondere alla nostra provincia) e che fantasiosamente ha chiamato così in onore di Bergamo, patria di Arlecchino: “Prendi un bel panettone non troppo grosso, mezzo chilo al più, e taglialo a fette sottili; cospargilo di zucchero a velo e mettilo al forno caldissimo, lasciandolo biscottare fino all’imbrunimento completo.” Da provare anche questa, soprattutto un buon modo di ri-utilizzare il dolce avanzato e non più fresco e fragrante.
Testo: Lara Abrati
Foto: Matteo Zanardi – Tutti i diritti riservati