Capita troppo spesso di sentir circolare vere e proprie leggende metropolitane nei confronti di alcuni prodotti, ma anche di alcune preparazioni o ricette. Nel mondo della cucina a volte il chiacchiericcio è tale da rendere molte informazioni talmente superficiali da risultare errate. Ma questa è ancora più grossa e ho scelto di parlarne con l’aiuto di un giovane chef che tutto è fuorchè una persona superficiale. Si tratta di Daniel Gallizioli, titolare e cuoco dell’Osteria Ai Nidrì di Iseo, un paese ubicato sulla sponda bresciana del lago Sebino.
Nel bacino, come in molti altri laghi e fiumi, si sente ormai da tempo la “pesante” presenza del pesce siluro. Una specie molto simile al pesce gatto, ma di certo non autoctona. La sua presenza viene da anni contrastata dai pescatori, questo perchè nel tempo la sua proliferazione abbondante lo ha reso una specie infestante che ha messo a rischio la sopravvivenza delle altre specie ittiche lacustri. I siluri pescati venivano d’obbligo eliminati.
Sul siluro circolano tutt’ora molte voci: dal fatto che le sue carni siano velenose per l’uomo, quindi non commestibili, al fatto che vivendo sui fondali le stesse presentino sentori di fango. E’ possibile affermare con certezza che entrambe le dicerie siano assolutamente false. E Daniel lo sa bene, dal momento che nel 2020, una volta presa la gestione dell’osteria, si è avvicinato incuriosito alla lavorazione e trasformazione di questo pesce scoprendone l’eccezionalità delle carni. “Ho chiesto ad alcuni miei fornitori di portarmi del siluro e, perplessi, mi risposero che non avevano mai ricevuto una richiesta simile, tanto che non sapevano nemmeno cosa scrivere sulla bolla di accompagnamento. Una volta trovata la soluzione, ho iniziato a trattarlo, con l’obiettivo di provarlo e poi buttarlo via. Ma sfilettandolo mi sono accorto che possedeva una carne compatta, senza lische, estremamente lucida. Si è sfatata così una leggenda metropolitana e raggiunta questa consapevolezza ho deciso di puntarci forte, nonostante l’ostracismo di alcuni” racconta lo chef. Ed è così che oggi alcune realtà del territorio e non hanno iniziato ad utilizzare questo pesce e sono sempre più le persone che, andando oltre alle proprie convinzioni, assaggiano le carni di siluro e ne rimangono piacevolmente stupite.
Ho assaggiato tutti i piatti a base di siluro preparati da Daniel e sono di grande godimento gustativo, ma anche di facile approccio.
Il bertagnì di siluro, preparato come fosse un meluzzo, dalla sua tipica sapidità, ma che viene sostituito dalle carni delicate del siluro a bocconcini, passato in pastella a base di birra e fritto. Viene servito con una maionese al lime montata al momento.
Poi lo shabu shabu (inteso puramente come metodo di cottura a immersione per pochi istanti), con il siluro preparato alla mugnaia a ricordare la sogliola. I filetti vengono cotti appena, lasciandone una parte leggermente cruda all’interno, poi mantecati con un’acqua di zenzero e finiti con pan grattato insaporito, burro nocciola e limone.
Infine, la cotoletta di siluro, un piatto comfort che mette tutti d’accordo. Il filetto di siluro viene allargato e panato con farina, tuorlo d’uovo e pan grattato per essere poi fritto in burro chiarificato. Il piatto si completa con gamberi di lago sgusciati, la loro emulsione, prezzemolo e burro.
“Conosci il nemico e fattelo amico…” dice Daniel. E lui l’ha fatto.
E se è vero che la tradizione è un processo di acculturazione, questa è la direzione corretta, che strizza l’occhio anche alla primaria esigenza dei nostri tempi: la sostenibilità della pesca e del consumo dei prodotti ittici e di origine animale.
Parole di Lara Abrati
Foto di Matteo Zanardi