Siamo a Lenna (Bg), in alta valle Brembana. Un piccolo paese coccolato tra maestose montagne, dove si può arrivare in auto, ma anche percorrendo la bellissima pista ciclabile che attraversa in lungo la valle fino ad arrivare a Piazza Brembana.
Proprio qui ha visto la luce un anno fa circa la Trattoria delle Miniere. O meglio, un giovane e intraprendente del luogo ha avuto il coraggio di rilevarla, regalandole nuova vita.
E’ Lorenzo Bonini, classe 1992: nato e cresciuto tra queste montagne.
“Fin dai 3 anni – racconta la mamma – ha sempre sostenuto di voler fare il cuoco. E poi la scelta della scuola alberghiera, che ho sempre cercato di disincentivare, preoccupata per il duro lavoro e gli immensi sacrifici che richiede questa professione, fino al dedicarsi totalmente a questa professione. Se mi avesse dato retta e avesse abbandonato la sua passione ora mi sarei davvero pentita”. Sì, perchè la passione di Lorenzo è una cosa innata, viscerale. Senza esperienza famigliare alle spalle, ha coltivato la sua passione attimo dopo attimo, esperienza dopo esperienza, trasformandola nel suo lavoro.
Dopo alcune esperienze in alcuni ristoranti e locali noti di Bergamo e provincia, ecco la sua proposta, la sua idea di cucina, la sua sensibilità trasferita nei piatti che propone al suo ristorante.
“Prima di rilevare la trattoria – racconta Lorenzo – ho lavorato in diverse cucine, prestandomi alle diverse mansioni. Quando mi accorgevo di avere una lacuna, facevo di tutto per colmarla, tutt’ora cerco di operare in questo modo, anche se in questi mesi sto cercando di dare il meglio di me stesso, per farmi conoscere e far provare la mia cucina“.
Un lavoro duro, quello del cuoco, soprattutto se la scelta è quella di preparare tutto (o quasi) in loco. Questo permette un risparmio sull’acquisto dei semi-lavorati o delle materie prime finite, ma un notevole investimento di tempo e risorse umane, cosa che al momento non sta spaventando il giovane Lorenzo, sempre presente in cucina e al ristorante.
I piatti presentano un grande equilibrio, golosi, rotondi. E la filosofia di Lorenzo segue un po’ la direzione in cui il mondo della cucina sta andando: quella caratterizzata dallo zero spreco. Ecco che pesce, verdure e carni sono utilizzate al meglio, al fine di valorizzare ogni loro parte.
Agli occhi (meglio alle papille gustative) dei più attenti non può sfuggire la magistrale preparazione dei fondi, con un utilizzo davvero piacevole all’interno dei piatti.
Pane (a base di lievito madre), grissini e focaccia sono preparati in casa. La focaccia al grano arso è davvero originale. Il tutto servito con un burro di malga salato, ma quello vero: grasso, giallo, che “sa di buono”.
E poi, non manca l’amuse-bouche, per poi iniziare con le portate.
Il menu si compone di tre antipasti, tre primi piatti e tre secondi. Poi i dolci e una carta dei vini al 100% bergamasca. La complessità dei piatti e il contesto potrebbe ingannare: i prezzi sono davvero a buon mercato, decisamente sotto la media di un ristorante al pari livello.
Tra gli antipasti, il salmerino, un pesce alpino che viene marinato per circa 1 ora. Le sue ossa vengono invece tostate e, con esse, viene preparata una maionese con latte di soia. Viene servito con un carpaccio di rape rosse e ciliegie fresche.
E poi, la terrina di quinto quarto fondente, con salsa allo Chardonnay earie alle erbe. Un piatto per utilizzare tutte le parti degli animali, rendendo il quinto quarto davvero gustoso.
Infine, la spuma di mozzarella fior di latte, prodotta da un’azienda agricola locale, frullata e montata, accompagnata poi da un pesto di pomodori secchi e noci. Il piatto è finito con olio alla menta e olio al pomodoro. “La chiamo la pizzaiola orobica” racconta Lorenzo.
Tra i primi, il risotto al timo serpillo con fonduta all’Agrì di Valtorta, un piatto in cui acidità, amaro e grassezza si fondono regalando aromi e texture unici. Cotto alla perfezione e mantecato in abbondanza.
Consigliati anche i ravioli di costine arrosto con pinoli e ginepro fermentato. Il pinolo, sia a pezzi che ridotto in crema, poi il ginepro fermentato a regalare una piacevole acidità. Il piatto viene finito anche con dell’artemisia fresca. I ravioli sono conditi con la salsa dell’arrosto stesso.
“Quanto ai secondi, in carta vi sono sempre piatti di 3 tipologie: un brasato, come la guancia di manzo al marsala, poi il coniglio o maialino arrosto e, infine, una cottura à la minute”. Il cervo in due portate appartiene proprio a quest’ultima: la lombata à la minute, servita con una purea di patate e un fondo al tabacco e uno stracotto, simile ad un ragù, di battuto al cacao.
Infine, tra i dolci, una ricetta tipicamente di Lenna, il “Leadèl“, rivisitata in chiave moderna. E’ un crumble di farina di mais orobico, una daquoise alle noci, la composta di fichi secchi sciroppati e il fiurìt (fiore della ricotta), il tutto avvolto in una bavarese alla mela.
L’uso delle erbe spontanee fresche non è solo una questione estetica e in alta valle ce ne sono in quantità e varietà. Fin da quando il foraging non era un qualcosa di modaiolo e davvero cool.
Un locale in cui il “Buono da pensare” si intreccia in un sodalizio perfetto con il “Buono da mangiare”.
Testo: Lara Abrati
Foto: Matteo Zanardi