Lo abbiamo destagionalizzato, reinterpretarlo in mille varianti ed esportato in tutto il mondo. Il panettone rimane, assieme al pandoro, il grande lievitato delle festività natalizie e nonostante i rincari il comparto continua a impastare numeri importanti. Secondo l’Osservatorio Sigep ad ottobre 2025 si è registrato un +28% sui lievitati rispetto all’anno precedente e anche i trend sull’export sono positivi: +28% a Parigi, +40% a New York e +80% a Hong Kong.
Il panettone piace davvero a tutti e ormai tutti lo producono, dal pizzaiolo di quartiere allo chef stellato. Acquistato nel forno sotto casa o nella pasticceria boutique è questo il momento per scegliere cosa metteremo sulle tavole nei giorni di festa. Ma come dovrebbe esprimersi un panettone di buona fattura? Come orientarsi nel mare magnum di realtà che popolano lo Stivale?
Leggiamo l’etichetta
Non ci dirà tutto ma ci aiuterà a fare una prima scrematura. Abbiamo abusato così tanto del termine “artigianale” da averlo svuotato di significato e se la semantica da sola non è sinonimo di buona fattura, l’etichetta può darci qualche informazione utile, a partire dalla data di scadenza. Preferiamo prodotti con una shelf life che non superi i 30/40 giorni e magari leggiamo anche la lista ingredienti.
Un panettone di buona fattura non dovrebbe contenere emulsionanti, mono e digliceridi, aromi di sintesi e conservanti. Nel panettone Milano, il lievitato della tradizione, la lista ingredienti dovrebbe essere lo specchio di quanto previsto dal disciplinare di produzione: acqua, farina, lievito madre, uova, burro, zucchero, canditi, uvetta (miele, vaniglia, sale, latte, burro di cacao e malto facoltativi), ed eventualmente gli ingredienti per la glassa, se presente.
Di bell’aspetto: come si presenta un buon panettone
Siamo del partito che bada più alla sostanza che alla forma, ma in un grande lievitato alcune caratteristiche visive sono un indicatore di buona fattura, quindi un elemento imprescindibile per capire se abbiamo fatto un buon acquisto. Innanzitutto il colore, la crosta dovrebbe brunita (tonaca di frate, nocciola tostata per intenderci), il panettone dovrebbe aderire bene e sporgere dal pirottino. Il prodotto non dovrebbe presentare zone tendenti al giallo, in quel caso è probabile che in quelle parti la pasta non sia ben cotta. La glassa, quando presente, non dovrebbe essere sciolta, la superficie dovrebbe invece presentarsi asciutta e non appiccicosa.
Una volta tagliato possiamo apprezzare l’alveolatura, che dovrebbe essere il più possibile uniforme e ben sviluppata. Collassi e macro-alveoli sono un difettuccio. Le sospensioni, ovvero canditi e uvetta, dovrebbero essere ben distribuite all’interno del lievitato.

Si annusa: il profilo aromatico
Il panettone è lo specchio degli ingredienti, del contributo del lievito e delle note di tostatura. Sentori di burro, uova, e vaniglia quando utilizzata caratterizzano il naso del panettone, intensi anche i sentori tostati che non dovrebbero virare però sul bruciato. Presenti anche le note agrumate, vuoi per il contributo della pasta di agrumi aggiunta spesso all’impasto, vuoi per l’aromaticità dei canditi di buona fattura utilizzati in un prodotto artigianale degno di questo nome.

Il morso: non troppo dolce e filante
Chiude il cerchio ovviamente l’assaggio. Non troppo dolce, magari con un punto di sale e il contributo fresco (leggasi acidulo) dei canditi. È questo il trittico gustativo che dovrebbe caratterizzare un buon panettone. Il morso dovrebbe conservare una certa umidità, darci la soddisfazione di masticare quel tanto che basta per sentire il burro sciogliersi in bocca prima di svanire come una nuvola elastica sotto i denti. Canditi e uvetta dovrebbero restituirci un godibile gioco di consistenze in bocca, giustamente umidi (non rinsecchiti) e carnosi. Se l’esperienza è stata così godibile di solito è difficile fermarsi alla prima fetta, a ben vedere anche questa è una prova del nove.