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La carta d’identità sensoriale dell’espresso

  • 28 Ottobre 2025
  • Stefania Pompele
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È una storia d’amore importante quella che lega gli italiani al caffè, a dircelo sono i numeri. Secondo il Comitato Italiano Caffè siamo il terzo Paese al mondo per importazione di caffè verde dopo USA e Germania, il primo produttore di caffè tostato in Europa, e il terzo per consumi. Un giro d’affari da 5,7 miliardi di Euro, di cui circa 2,6 legati all’export e 3,1 al mercato interno. In questo scenario fatto di moke e macchine per estrazioni domestiche, il 30% è rappresentato dal consumo fuori casa, luogo di elezione dell’espresso. Sono circa 6 miliardi le tazzine che ogni anno vengono servite nei locali pubblici, un rito che non sembra scalfirsi nonostante le criticità sui rincari che caratterizzano questo periodo storico.

Abitudine quotidiana, momento corroborante e occasione di socializzazione, all’espresso si attribuiscono molteplici valenze. Quella tazzina fumante racconta molto del bere italiano in fatto di caffè, a partire proprio dal metodo estrattivo. Quando ordiniamo un espresso parliamo infatti di una bevanda preparata con una tecnologia nata proprio nel nostro Paese, che utilizza la percolazione forzata (circa 9 bar di pressione) per estrarre il nostro nettare degli dei. Di tutti i metodi estrattivi l’espresso è senza dubbio il più complesso, quello che richiede conoscenze specifiche sulla gestione di tutto il processo, non da ultimo sulla materia prima. Ma nonostante la popolarità della bevanda viviamo il paradosso, anche questo tutto italiano, in fatto di conoscenza sul prodotto. Come dovrebbe essere un buon espresso? Quali sono i principali difetti in tazza?

Guida all’assaggio: osserviamo tutto, non solo il caffè

Sembrerà scontato ricordarlo ma il primo indicatore di qualità e buona fattura di un espresso sono le attrezzature a banco: la macchina è pulita? L’operatore ha cura di pulire il gruppo tra un espresso e l’altro? Come si presenta il caffè nella campana del macinadosatore? Che colore ha? Una rapita occhiata basta a fornici indicazioni utili per capire se quello che avremo in tazza sarà godibile o è meglio cambiare bar. Attrezzature sporche, estrazioni mal eseguite e chicchi molto scuridevono allertarci in tal senso.

Un buon espresso dovrebbe presentarsi con una crema dall’aspetto setoso, compatto, aderire bene alla tazza e non essere troppo evanescenze. Il caffè non dovrebbe risultare troppo scuro, tendente al nero appunto, potrebbe significare che stiamo assaggiando un prodotto che ha subito una tostatura violenta, non certo una pratica foriera di un risultato ottimale.

Il sentore di bruciato non è un pregio

Annusare e descrivere il percepito è una faccenda tutt’altro che semplice, ma sebbene sia complesso dare un nome agli odori l’intelligenza sensoriale ci fa riconoscere ciò che è “buono e/o tipico” da ciò che non lo è. Con il caffè questa regoletta viene in parte aggirata per questioni culturali. Abbiamo una strettissima relazione con la bevanda ma siamo stati indottrinati con prodotti tendenzialmente scadenti e su quelli abbiamo costruito i nostri riferimenti sensoriali, non solo tollerando ma considerando addirittura tipici alcuni aspetti che invece sottintendono scara qualità. Fulgido esempio il sentore di bruciato che ci capita di sentire in alcune tazzine, che invece andrebbe incasellato alla voce difetto. Fumo, mozzicone di sigaretta, sono tutte cose che non dovremmo sentire in un buon espresso. Bandite anche le note di muffa, cantina, terra umida o legno marcio. Può capitare di percepire anche sentori da ossidazione, in particolare degli olii presenti talvolta sulla superficie del chicco che possono irrancidire in presenza di ossigeno. Un buon espresso si caratterizza solitamente per un ventaglio aromatico dominato da sentori tostati: nocciola, cacao, cioccolato, crosta di pane solo per citare i più comuni.

Un buon caffè non è mai molto amaro

Perché il caffè è amaro? La tostatura gioca sicuramente un ruolo importante, caffè molto tostati (bruciati) si palesano anche per l’amaro inteso, ma anche l’estrazione può accentuare questa caratteristica in tazza. Dobbiamo poi considerare la presenza di caffeina, sostanza amara prodotta dalla pianta per difendersi dai parassiti. Delle due specie che rivestono interesse commerciale, Arabica e Robusta, la seconda ne contiene in maggiore quantità, quindi se nella nostra miscela sono presenti percentuali generose di Robusta può essere che un po’ di quell’amaro derivi appunto dalla materia prima. Ma al netto della nostra soggettiva confidenza con le sostanze amare, non dovremmo sentire l’irrefrenabile desiderio di zuccherare il caffè (non dovremmo nemmeno aggiungerlo lo zucchero), né di bere acqua dopo. In un buon espresso l’amaro dovrebbe palesarsi con un accenno, caffè molto amari non sono da considerarsi identitari di nessun “saper fare italiano”, semmai ci parlano di una materia prima non eccelsa, tostata ed estratta male. Potremmo invece apprezzare la naturale dolcezza di alcune Arabica.

Tra le caratteristiche godibili in tazza va menzionata anche l’acidità. La freschezza talvolta sostenuta che possiamo percepire in alcuni caffè non è un difetto, anzi. La percezione acidula è legata sia alla provenienza della materia prima sia al metodo di lavorazione del caffè, ed è considerata un tratto godibile. Lo stile italiano dell’espresso ci ha educati ad apprezzare acidità solitamente basse, non amiamo moltissimo questo tratto sensoriale, paradossalmente siamo più abituati alle amarezze estreme di alcuni pessimi caffè. Un buon espresso potrebbe insomma palesarsi per avere più freschezza che amarezza, e per quanto possa sembrarci strano è esattamente così che dovrebbe essere. L’astringenza è invece da considerarsi un difetto, un buon espresso non dovrebbe lasciarci sensazioni di ruvidità e secchezza dopo averlo deglutito. Il sorso dovrebbe essere abbastanza sciropposo, l’amaro se presente dovrebbe essere contenuto, l’acidità percepibile ma moderata dovrebbe accompagnare il sorso lasciandoci la bocca pulita dopo la deglutizione e un ricordo godibile di sentori tostati e fruttati, è questa in sintesi la carta d’identità sensoriale di un buon espresso.

Foto: Le Piantagioni del caffè

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