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Dallo scalco, al cuoco: breve storia della brigata di cucina

  • 1 Settembre 2025
  • Irene Foresti
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Della brigata, di cuochi e di chef si parla molto. Forse troppo.

Ma come tutte le figure professionali nate in tempi antichi, anche questa ha subìto numerosi cambiamenti nel corso del tempo. Taluni più scontati altri più curiosi. Com’era quindi la brigata di cucina dei secoli scorsi? Capo cuoco, aiuto cuoco ecc.?

Forse sì, se si pensa all’archimagirus romano (coadiuvato dal vicarius supra cocos) ed al “team” les menus plaisirs (i piccoli piaceri) che seguiva Luigi XIV nei suoi spostamenti.

Ma anche no. La divisione dei ruoli era più specializzata, anche se a primeggiare era sempre il cuoco: lo scalco.

Colui che coordinava l’insieme delle manifestazioni pubbliche del padrone e che non doveva curarsi di nulla se non del proprio compito (XV-XVIII sec.). Colui che, per questo, doveva avere i gusti del suo padrone (Marziale, I sec.).

Un compito importante cui non poteva ambire nessuno che non si fosse trovato ad ordinare e servire conviti regi (Vittorio Lancellotti, XVII sec.).

Talmente importante da rendere il cuoco più in pregio [degli] scultori in Atene (XVIII sec.). Non è un caso se si dice che lo Scappi, cinquecentesco scalco papale, stesse alla cucina come Michelangelo alle belle arti.

Ecco perché l’estrazione sociale del cuoco stesso doveva consentirgli di conoscere le dinamiche della vita di corte e perché doveva avere precise caratteristiche, oltre ad un adeguato vestiario (una divisa da non sfoggiare mai fuori dalla cucina e con elementi identificativi scelti dal padrone).

Doveva essere sano, pulito e senza rogna […], trattabile e non […] collerico e capace di lavorare […] di pasta, di gelo, di minestrine, di tenere polita e scopata la cucina, curati i rami [casseruole, NdA], li spiedi e i stagni. La sua cucina doveva assomigliare alle cucine di Venezia, che pareno botteghe de specchi tanto riducono i rami e stagni (Fusoritto da Narni, XVI sec.).

Il cuoco, detto Dedalo da Trimalcione per le sue abili doti di architetto gastronomo, muta la sostanza in accidente, cambia la natura in arte. Per dirla con Aristotele: è artigiano del piacere.

Nulla di più diverso da certe incisioni nord europee che lo rappresentano in cucine fumose, sporco, obeso e rubizzo.

La figura dello scalco però, prima di assurgere al prestigio, è partita dal basso. Assimilato a lardaroli, macellai e tavernieri, durante il medioevo sviluppa una propria identità quanto a competenze e professionalità. Nell’antica Grecia era detto màgheiros (macellaio) e la gastronomia téchne magairiké ed ancora in epoche successive le due figure coincidevano, come nel caso di Martino da Como (XV sec.).

Il màgheiros, apprezzato in Platone per le abilità sacrificali, aveva come attributi il coltello (màchaira) ed il grembiule, che lo rendevano facilmente riconoscibile in alcuni personaggi della commedia attica. In alcune epoche è stato anche assimilato alla figura del maggiordomo nota, nel sud Italia, come monzù e monsù (dal francese monsieur).

In quanto professione necessaria e fondamentale, è normale che quella del cuoco abbia subito alterne vicende.

In età romana, coloro che non ne avevano uno “fisso” potevano noleggiarlo al foro (Plauto, II sec. a.C.), non molto diversamente da quanto accadeva in Grecia (cuochi delle thiasi), nella Venezia del ‘700 (prestito dei cuochi) ed ancora oggi!

Ed è stata l’amara sorte di chi i cuochi domestici se li poteva permettere a dare un impulso alla nascita della moderna ristorazione.

Durante la rivoluzione francese, decine di scalchi al servizio dei nobili restarono senza lavoro, dunque ripiegarono prestando servizio per le famiglie borghesi o aprendo locali propri (i primi ristoranti).

In questa fase storica, il cuoco aveva ormai assunto la sua principale caratteristica: saper gestire la brigata (la camera secreta dei pontefici) e sorvegliare attentamente i dipendenti (Scappi).

Primo fra tutti il trinciante. Vero e proprio giocoliere-ballerino, tagliava le vivande “in aria” (tecnica di eredità iberica) rispetto al piatto, soprattutto quando dal tagliere (piatto condiviso fra più commensali) si passò al piatto singolo (XV-XVII sec.), ben prima della diffusione massiccia della forchetta. Il trinciante, specializzazione dello scalco (lo scissor romano), di bell’aspetto, pulito, veloce, elegante, cerimonioso, taciturno e dall’abbigliamento sobrio, doveva conoscere perfettamente le vivande, per riservarne le parti migliori al suo signore.

E quali erano le altre figure della brigata?

A seconda delle epoche e dei luoghi, per citarne alcune: i panatieri (ufficiali delle farine), i secondini (aiuto camerieri), i domenichini (servitori festivi), gli scalchi dei forestieri, i servitori di coltello, gli argentieri, i legnari, i credenzieri, i dapiferi (figure da conclave), i castaldi (magazzinieri), i coppieri ed i camminieri (addetti al camino).

In epoche precedenti, come nel periodo romano, in vece dello scalco avremmo trovato il triclinarca, che coordinava i lectisternitores (addetti ai triclini), i ministratores (scodellatori), i pocillatores (mescitori) e gli scopari (era “educazione” gettare gli avanzi e gli scarti per terra).

Attraverso i secoli sono cambiate le modalità di preparazione, servizio e consumo e, dietro le quinte, le figure di cucina (i così detti mestieri di bocca) hanno accompagnato queste alterne evoluzioni, evolvendosi a loro volta e arrivando sino ai giorni nostri, spinti da nuove esigenze, cambiamenti della società, evoluzione. Come sempre, un vero e proprio processo di acculturazione, che ha spinto la sopravvivenza di questa professione antica fino ai giorni nostri.

Foto di Matteo Zanardi

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