Il mercato dei prodotti No/Lo – acronimo riferito all’universo eterogeneo delle bevande senza o a basso contenuto alcolico – vive una crescita costante. Secondo i dati 2024 pubblicati dall’ International Wine & Spirits Research, l’autorità globale sui dati e sull’intelligence nel settore delle bevande alcoliche, il comparto raggiungerà circa i 4 miliardi di dollari entro il 2028, con un ritmo che vede soprattutto la componente zero alcol a segnare l’accelerazione maggiore rispetto ai prodotti a bassa gradazione. Nel biennio 2022 – 2024, oltre sessanta milioni di persone hanno scelto di avvicinarsi a queste bevande, spinte da una nuova sensibilità al benessere, dal desiderio di trovare alternative godibili che non implichino la presenza di alcol, o semplicemente mosse dalla curiosità di sperimentare esperienze di consumo insolite.
La scena italiana del bere No/Lo
Nel nostro Paese il comparto si muove con lentezza e su binari a tratti contraddittori: da un lato la comunicazione dipinge questi prodotti come la next big thing, supportando la narrazione da sondaggi entusiastici (in una recente ricerca di Unione Italiana Vini il 36% degli italiani si è dichiarato interessato ai prodotti No/Lo), dall’altro i dati effettivi sui consumi evidenziano quote di mercato ancora risibili. Questa limitata penetrazione può essere attribuibile a diversi fattori: scarsa propensione a sperimentare l’inconsueto, offerta carente e preparazione inadeguata del personale nei contesti che dovrebbero in parte guidare questa rivoluzione, ovvero bar e locali, sono di certo elementi penalizzanti. Va poi considerato il tessuto culturale che ci caratterizza, siamo un Paese dove la cultura enoica è un tratto identitario, decisamente radicato nelle nostre abitudini di consumo, soprattutto in quelle della popolazione adulta. In queste fasce d’età, per ora, le bevande No/Lo non sembrano destare grande interesse.
Se è la Generazione Z il target di riferimento principale, complice un cambio di paradigma culturale e una crescente disaffezione verso i prodotti alcolici, è altrettanto vero che il mercato ha bisogno di sviluppare bevande che possano avvicinare un pubblico trasversale, in grado di creare nuove esperienze di consumo e alternative godibili anche nei contesti di elezione del bere alcolico. E sebbene i numeri raccontino uno scenario ancora incerto e in divenire, esistono ormai diverse realtà virtuose anche nostro Paese.

Le bevande botaniche fermentate di Feral
E di virtuosismi, tecnici e creativi, si parla quando si assaggiano le bevande fermentate di Feral. Questa start up trentina nata nel 2023 ha deciso di puntare tutto sul no-alcol e su un ingrediente povero come la barbabietola. Attraverso una fermentazione batterica, un controllo rigoroso del processo produttivo e l’utilizzo di botaniche, realizzano bevande naturalmente prive di alcol e con profili sensoriali complessi, capaci di dialogare con il cibo. Sono cinque le referenze attualmente in commercio, due prodotte con barbabietola bianca, due con barbabietola rossa, e una bolla rosé.
Li chiamano proxy wines e del vino intendono imitare la complessità e la capacità di diventare elemento conviviale accompagnando il cibo. Il termine, coniato da Charlie Friedmann, giornalista gastronomico canadese, si riferisce appunto a bevande solitamente ottenute per fermentazione e concepite per creare esperienze di consumo simili al vino, pur non essendolo. Prodotti che hanno una certa complessità sensoriale e interessanti in abbinamento, capaci di sostituirsi anche alla funzione sociale del vino, non solo a quella meramente sensoriale.

Feral N 1 con barbabietola bianca, luppolo e pepe di Szechuan

Abbiamo assaggiato per voi il primo nato in casa Feral, un fermentato di barbabietola bianca con luppolo e pepe di Szechuan. Il naso lascia esprimere le botaniche in infusione, i sentori freschi e a tratti balsamici del luppolo abbracciano le note agrumate del pepe. Non mancano note lattiche da fermentazione e tenui rimandi terrosi della barbabietola, che ci riporta all’ingrediente base della bevanda spogliandosi però di quella rusticità aromatica tipica della radice. In bocca il sorso è fresco e snello. Interessante la scelta di non addizionare le bevande con carbonica, ma di stimolare la chemestesi utilizzando elementi piccanti, in questo caso con del peperoncino oltre al pepe di Szechuan. La componente piccante nel sorso è ben percepibile, un elemento sensoriale che aggiunge complessità e persistenza all’esperienza, e in qualche modo invita anche alla lentezza, un po’ come avverrebbe se stessimo sorseggiando un calice di vino. Una sorsata spensierata e originale che non vuole assomigliare a nulla se non a sé stessa, ma che sa accompagnare un piatto e un convivio con una simile liturgia.