Veniamo dal periodo estivo, da mesi in cui siamo stati quasi storditi dalla numerosa quantità di feste, sagre (o presunte tali) e appuntamenti all’aperto. Occasioni di convivialità organizzati con lo scopo di sostenere associazioni, ma anche mere occasioni di business da parte di pochi. Ecco che le feste e le sagre popolari hanno piano piano perso il loro significato. Ma a Covo, un piccolo paesino della provincia di Bergamo, si è partiti dal profondo, dalle radici: prima valorizzando una preparazione, poi organizzando l’omonima sagra allo scopo di promuovere la ricetta, la convivialità e, di conseguenza, il territorio. Sto parlando del Raviolo nostrano di Covo, una ricetta ormai tutelata dalla Denominazione Comunale e da un disciplinare di produzione, la cui sagra si celebrerà da venerdì 10 ottobre, fino al 12, presso l’oratorio ubicato nel comune stesso. La cucina sarà aperta il venerdì sera, il sabato sera e la domenica a pranzo.

Come ho potuto già raccontare QUI: la seconda domenica del mese di ottobre, tra la fine dell’800 e i primi del ’900 era in uso in zona festeggiare con grandi mangiate di ravioli: un modo conviviale di celebrare la fine dell’annata agraria nei campi prima del riposo e della stagione fredda. Di ravioli se ne facevano in grandi quantità e, a turno, ne mangiavano le diverse categorie: il lunedì era il giorno dei contadini, il martedì quello dei commercianti e così via dicendo. Questo è il racconto orale che da alcune generazioni si riporta. La “sagra” antica ha avuto il suo periodo di maggiore partecipazione negli anni dell’immediato dopoguerra e del boom economico, periodo in cui in molti andavano per trattorie. E di trattorie ce n’erano diverse a Covo, addirittura si pensa più di dieci (tante per un paese di circa 2000 abitanti). Questo almeno è quello che si racconta e non è dato, per ora, di trovare testimonianza scritta. Cosi come non si trova scritta la ricetta per la preparazione del ripieno e della sottile sfoglia di pasta per la preparazione dei ravioli. Le famiglie si sono tramandate le precise quantità e rapporto di combinazione tra gli ingredienti, ma come per tutte le ricette di casa, ognuno ci metteva del proprio.
La “sagra” è stata riporata in vita nel 1984 grazie ai soci della «Cooperativa XXV Aprile», che si mettevano ogni anno al lavoro per preparare i golosi ravioli nostrani mangiandoli fino a poco tempo fa nel salone della cooperativa stessa: purtroppo oggi non più.
Ma il raviolo nostrano non può e non deve andare perduto. Per questo motivo, grazie all’impegno di molti, tra istituzioni e gente del posto, piano piano si è riusciti a codificare la ricetta proteggendola con una Denominazione Comunale a cui oggi aderiscono alcune realtà del paese, in particolare: Losteria, il regno di Eleonora, dove è possibile gustare i ravioli quasi tutti i giorni in pausa pranzo, ma anche per la cena del sabato. Eleonora Ceresoli ha una grande passione per il mondo delle paste ripiene ed è stata una delle più grandi sostenitrici del progetto, se li volete assaggiare, questo è il posto giusto. Più recentemente hanno aderito anche la Pasticceria Maccalli e la Panificeria, che ne producono per la vendita.
Si tratta di una pasta all’uovo fresca farcita con un ripieno a base di carni miste di manzo e suino brasate al vino rosso. I ravioli devono essere di forma quadrata o a mezzaluna e vengono cotti nel brodo.
I ravioli proposti alla sagra sono interamente preparati dalle persone del paese, la sera, dopo gli impegni quotidiani di ciascuno. Ci si incontra e, tra una chiacchiera e l’altra, una battuta e la sua risposta, si producono incessantemente questi piccoli quadratini ripieni.









Belle occasioni di socialità, quasi d’altri tempi, lontane da smartphone, ma con le mani letteralmente… in pasta!


Andateci alla sagra, da venerdì 10 a domenica 12: il venerdì e il sabato per la cena, mentre la domenica a pranzo.
Foto Lara Abrati