Scoprire i vini de Le Driadi è sempre un’esperienza che va oltre all’assaggio. Questo perchè dietro alla loro nascita, spesso non vi è la ricerca di particolari sensazioni gustative o un progetto preciso riguardo il risultato. Chiacchierando con Luciano e Gabriella, è facile scoprire come molti dei vini da loro prodotti siano frutto di sperimentazione, tentativi, idee nate per caso, ma anche da intuizioni nate dal fortunato incontro con persone tra le più diverse.
Ed è stato anche il caso di un rosato nato grazie a un concatenarsi tra necessità, incontri e intuizioni. Il tutto sostenuto dalla cosa più importante: la capacità di scegliere, anche quando non tutto rema nella direzione sperata.
Rosa Fresca Aulentissima è un vino rosato spumantizzato con metodo ancestrale: vero, diretto, fresco e profumato.

“Questo vino – racconta Luciano – nasce dopo una degustazione con alcuni imprenditori e, tra questi, ce n’era uno del mio stesso Comune che mi confidò di possedere un piccolo vigneto attorno alla sua villa di campagna. Lo teneva curato perché amava la vista della casa circondata dalle viti; gli ricordava la Toscana, terra di sua madre, ma ammise che il vino era cattivo e che l’uva ormai la regalava”.
Dopo del tempo, la necessità de Le Driadi di Palazzago (Bg) era quella di aumentare un poco la produzione di vino: fu così che la connessione tornò viva e, da essa, nacque questo piccolo tesoro enologico.
“Quello in cui nasce Rosa Fresca Aulentissima è un vigneto antico: le piante sembrano monumenti viventi, avranno almeno settant’anni. Ogni vite ha il suo palo di castagno, i filari seguono tre curve di livello con terrazze irregolari. Non è un vigneto moderno: è un’archeovigna. Sulla carta è registrato come Cabernet Sauvignon, ma non è così. Dopo aver percorso i filari con l’uomo che lo ha curato negli ultimi anni che avrà più o meno l’età del vigneto, esso comincia a raccontare: mi parla di Merlot e Cabernet, perché le ultime sostituzioni le hanno fatte con quelle varietà. Poi indica grappoli grandi e chiari di Schiava, quelli dal peduncolo lungo di Barbera e la “Grisa nera”, che da bambino appassivano e mangiavano a Natale come caramelle. Cita anche l’Agostana (o forse Aostana), il Groppello, la Franconia, il Moscato d’Adda, e chissà cos’altro. Ogni tanto spunta anche un grappolo di Moscato giallo, quello che poi userò per un altro dei nostri vini, Tilamore”.
Tantissime varietà che richiederebbero altrettante micro vinificazioni: impossibile.
Ma in quel momento il problema per Luciano e Gabriella, non era se tenere oppure no quelle uve, ma decidere come valorizzarle e cosa farne. Grazie all’aiuto dell’enologo, arriva l’intuizione: “abbiamo deciso di farci un rosato, ma non un Metodo Classico. Volevamo un vino diretto, vero, così scegliamo la via dell’ancestrale” racconta infine Luciano Chenet.

Parte del mosto in fermentazione viene congelato prima della fine della fermentazione, per poi essere reintegrato in primavera nella massa che nel frattempo ha terminato di fermentare. Quando la fermentazione riparte, si imbottiglia.
Nasce così Rosa Fresca Aulentissima, che prende il nome dall’omonima poesia di Cielo d’Alcamo, con un’aroma che ricorda la rosa fresca e profumata, nella speranza rimanga così, il più a lungo possibile.