Ormai “raccontare di cibo” è moda comune. Tutti ne millantano conoscenza, tutti ne parlano, ne scrivono e si ergono profondi conoscitori della materia. Uno sport nazionale, quello che porta il nome di tuttologia, che va oltre il mondo enogastronomico, arrivando a coinvolgere temi anche tra i più complessi e sensibili, che potrebbero urtare perfno le sorti delle nostre vite e dell’umanità intera.
Un atteggiamento superficiale e pericoloso, che qualifica chi lo attua, ma allo stesso tempo penalizza tutti. Il semplificare per cercare comprendere facilmente, senza valorizzare la complessità delle cose. Una direzione questa, che come anticipato coinvolge anche il nostro bellissimo mondo: l’enogastronomia.
Un mondo che ha sempre caratterizzato la mia vita e in cui ho investito quasi tutte le mie energie e il mio tempo: dai miei interessi fino agli studi e alla mia professione. Mondo che in questi anni è cambiato profondamente, ne è cambiata soprattutto la sua percezione e, di conseguenza, la sua narrazione. Una comunicazione in cui prevale l’ostentazione piuttosto che la bellezza. In cui prevale la banalizzazione piuttosto che la valorizzazione dei processi. In cui l’appiattimento culturale sta prendendo il sopravvento. In cui la comunicazione è diventata intrattenimento e si prendono come verità ciò che taluni, senza formazione e cultura, gridano in modo rozzo nei tanti video che popolano il web.
Forse anche altri, come me, stanno osservando questa tendenza e si stanno profondamente dispiacendo di come il mondo del cibo, complici soprattutto molti operatori, artigiani, agricoltori e professionisti del settore, stia subendo un decadimento di valore nella sua comunicazione e, di conseguenza, nella sua percezione.
E quindi con la memoria mi piace tornare ai giorni in cui mi son appassionata al mondo dell’enogastronomia, leggendo i racconti di Soldati, poi quelli di Veronelli. Di quando gli artigiani producevano con creatività i loro gioielli gastronomici, invece di pensare al prossimo video con il tentativo di diventare virali su Instagram e soddisfare così il proprio ego (ma non il proprio portafoglio).
IL MONDO DEL CIBO HA BISOGNO DI UN’ALTRA NARRAZIONE.
Ricordo quanto mi affascinò il concetto di giacimento gastronomici creato e raccontato dal grande Gino Veronelli. Ha passato la sua vita a battersi per tutelarli e valorizzarli, rispetto all’avvento dei prodotti industriali. Una filosofia tanto semplice quanto custode di profonda complessità.
Raccontare l’enogastronomia richiede cuore, ma anche conoscenza.
Spesso mi chiedo cosa penserebbe una persona del calibro di Veronelli nell’osservare personaggi di dubbia cultura sbattere il cibo qua e là, urlando al mondo parole poco pensate, ma dette al solo scopo di ottenere un like in più. Quali danni stanno creando a questo magico mondo fatto di conoscenza, tradizione, processi e pazienza? Un sistema, quello dell’enogastronomia, che si può raccontare attraverso la storia, l’arte, la sensorialità, la microbiologia, la chimica o la fisica.
Accanto al decadimento culturale della comunicazione enogastronomica tanti diranno: oggi va così. Io mi sento di affermare con forza e certezza che non è vero. Un tempo c’era meno attenzione per il cibo, avevamo a disposizione meno informazioni. Oggi potremmo creare vero valore aggiunto, basterebbe comunicare in modo preciso e puntuale.
Accanto al problema della narrazione, assistiamo a prodotti, preparazioni e metodi che in parte sono già spariti o sono stati goffamente tutelati da sistemi che non valorizzano i singoli giacimenti gastronomici, ma ne azzerano le differenze nel tentativo di codificarle. In un certo senso…semplificandoli. Pensiamo ad esempio alle denominazioni nate nel corso degli anni.
Credo ci voglia più responsabilità e il cambiamento può essere fatto solo partendo dal nostro piccolo: serve però un contributo da parte di tutti gli attori, dai produttori, ai ristoratori e ai comunicatori, nel creare una narrazione nuova, precisa e puntuale e scegliendo con cura a chi affidare il racconto delle proprie preziose attività, con l’obiettivo di generare una NARRAZIONE che potremmo definire SANA.
Accanto agli attori del settore e alla mera comunicazione, anche le istituzioni (dalle amministrazioni comunali e dagli enti locali), che sono i veri custodi e amministratori dei territori possono fare molto.
Ecco che in questo contesto, sto notando un ritorno alla considerazione delle Denominazioni Comunali, altra opportunità per cui si è battuto Gino Veronelli per la narrazione, tutela e la valorizzazione degli infiniti GIACIMENTI GASTRONOMICI.
Le Denominazioni Comunali sono nate ormai più di tre decenni fa, anche se ancora oggi troppo poche persone sanno della loro esistenza.
Grazie alla legge n. 142 dell’8 giugno 1990 si decise che i Comuni avevano la facoltà di disciplinare la valorizzazione delle attività agricole e alimentari tradizionali presenti nella propria realtà. Grazie alle numerose persone e associazioni che si sono battute per molti anni, si è arrivati alla legge Costituzionale n. 3 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 18 ottobre 2001; essa delega ai Comuni il potere di emettere regole in campo agricolo e, da quella data, è stato segnalato il diffondersi di Comuni, che hanno iniziato a deliberare una o più Denominazioni Comunali.
L’istituzione di queste forme di tutela richiede un lavoro di documentazione, ricerca storica e creazione di un disciplinare di produzione. Viene fatto a livello comunale e permette la codifica e raccolta, nonchè la valorizzazione e narrazione di prodotti e ricette con radici in un determinato territorio. Richiede anche la collaborazione di tutti i protagonisti del territorio in cui si inserisce, dagli amministratori fino ai produttori, ma anche ai commercianti: tutti uniti in un’attività virtuosa. La finalità risiede nella promozione del territorio, delle sue attività, ma anche nella promozione di attività culturali e conviviali che rendono vivo il paese e la sua comunità. Tutto qusto potrebbe anche riportare le famose sagre al loro scopo originale, invece di essere ormai mere occasioni di business per pochi.
Parlo di Denominazioni Comunali perchè in bergamasca, solo negli utlimi anni ne sono nate diverse e alcune sono in corso di valutazione. Attualmente in provincia d Bergamo ne esistono 7: il Mais Rostrato rosso di Rovetta De.Co., il Mais Spinato di Gandino De.Co., la Patata di Martinengo De.Co., la budelina De.Co. di Covo, il raviolo nostrano De.Co. sempre a Covo, la polpetta di Vidalengo De.Co. e il neonato salame De.Co. di Caravaggio. Sul confine provinciale abbiamo il famoso asparago rosa De.Co. di Mezzago (MB), ma anche la ret De.Co. di Capriolo (Bs). La provincia di Brescia invece ne è davvero ricca: dal Biscotto di Pozzolengo De.Co. al Casoncello De.Co. di Barbariga, il Casoncello di Pontoglio De.Co., il Chisol so la gradela De.Co. di Pozzolengo, la Chisöla de Bùren De.Co.,la Farina di Barbariga De.Co., Fatulì De.Co, il Formaggio Case di Viso De.Co., gli Gnoc de la Cua De.Co., gli Gnocchi di Gottolengo De.Co., la Grappa De.Co. di Gussago, il Lampone di Lozio De.Co., i Marroni della Valle del Garza De.Co., il Miele di tiglio di Quinzano De.Co., la Patata di Gottolengo De.Co.Salame di Gottolengo De.Co., il Salame morenico De.Co., la Salsiccia di castrato di Breno De.Co., la Spongada di Breno De.Co., la Torta secca di Carpenedolo De.Co., i Tortelli di zucca di Gottolengo De.Co..
Nela speranza che queste non siano parole vane, noi di Con-Dire ci prendiamo la responsabilità di continuare ad impegnarci nel promuovere una diversa narrazione enogastronomica, rispetto alle tendenze attuali e degli ultimi anni.
Ci poniamo al fianco con tutte le nostre competenze e la nostra professionalità a chi deciderà di impegnarsi in questa direzione: siano agricoltori, produttori, artigiani, ristoratori, associazioni di categoria, amministrazioni comunali, enti.
PER UN’ALTRA NARRAZIONE GASTRONOMICA e UNA VERA VALORIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI AGROALIMENTARI.
Scrivici: info@condiremag.it